Il referendum sull’austerità in Irlanda

Oggi si vota sugli accordi fiscali presi in Unione Europea all'inizio dell'anno: i sì sono dati per favoriti dai sondaggi ma la partita è aperta

Oggi in Irlanda si vota il referendum sul fiscal compact, la serie di provvedimenti assunti dai leader europei a inizio anno per contrastare la crisi economica. Il piano sulla politica fiscale europea prevede misure di austerità per i paesi che devono mettere in ordine i loro conti pubblici, riducendo il debito, ed è stato di recente criticato da alcuni capi di stato e di governo a partire dal nuovo presidente francese François Hollande, che vorrebbe riaprire la discussione in Europa puntando maggiormente sulle politiche per la crescita. Se in Irlanda dovessero vincere i no, il paese potrebbe essere escluso dal sostegno previsto dal nuovo fondo di stabilità.

L’Irlanda è l’unico paese europeo ad aver indetto un referendum per l’approvazione del nuovo patto fiscale. I sostenitori del sì, spiegano su BBC, temono che le continue misure di austerità assunte nel paese possano favorire il voto contrario agli accordi europei. Molti cittadini irlandesi potrebbero decidere di votare no anche per dare un chiaro segnale al governo, che in questi mesi ha dovuto imporre tagli e imposte per rimettere in sesto i propri conti. Del resto, nella storia recente, l’Irlanda ha respinto già due importanti trattati assunti in sede europea nel 2001 e nel 2008, anche se poi ulteriori votazioni hanno portato alla loro approvazione.

I sostenitori del no dicono che le misure di austerità fino a ora adottate, e imposte da Bruxelles, non hanno portato ai benefici sperati. Sostengono che l’eccessivo rigore avrebbe complicato la ripresa economica nel paese, peggiorando la crisi già in atto. Stando ai sondaggi più recenti, la maggior parte degli elettori sembra essere comunque orientata verso un voto favorevole, anche se il numero di indecisi è ancora alto e potrebbe condizionare l’esito della consultazione. Nel sondaggio più recente dell’Irish Times, i sì erano al 39 per cento e i no al 30, con un’alta percentuale di indecisi.

Tra i sostenitori del sì c’è naturalmente il governo del primo ministro di centrodestra Enda Kenny, che si è rivolto alla popolazione con un messaggio televisivo poco prima della fine della campagna elettorale per il referendum chiedendo di votare a favore del nuovo trattato europeo: “Votate sì alla stabilità. Sì agli investimenti. Sì alla ripresa economica. Sì a un’Irlanda che funziona”. Il leader del partito indipendentista Sinn Féin, Gerry Adams, ha raccomandato invece agli elettori di non farsi trarre in inganno. Ha spiegato che gli irlandesi devono dimostrare di essere furbi, unendosi ai tanti cittadini europei che chiedono la fine delle misure di austerità. E l’unico modo per farlo, ha detto Adams, è quello di votare no al referendum di oggi.

Il trattato fiscale, concordato da 25 paesi europei su 27 (Regno Unito e Repubblica Ceca si sono chiamati fuori), mira ad assicurare un migliore coordinamento tra gli stati per quanto riguarda il controllo del loro debito. Tecnicamente non è un trattato vero e proprio, ma un accordo intergovernativo, condizione che avrebbe dovuto rendere più semplice la sua approvazione da parte dei paesi che lo hanno adottato. In Irlanda il procuratore generale ha però stabilito che sarebbe stato incostituzionale adottare il nuovo sistema senza un referendum, come chiesto dalle leggi irlandesi.

Il patto fiscale non è di per sé a rischio in Europa perché per entrare in vigore è sufficiente che sia ratificato da 12 stati membri. Diversi paesi hanno già avviato le loro procedure per la ratifica, che può avvenire nella maggior parte dei casi con un voto dei singoli parlamenti. Se in Irlanda dovessero vincere i no, il paese sarebbe tagliato fuori dai fondi messi a disposizione con il Meccanismo Europeo di Stabilità, il sistema di salvataggio contro la crisi economica per i paesi più in difficoltà. Il paese al momento fa molto affidamento su quei fondi, e su quelli del Fondo Monetario Internazionale, per mantenere in vita la propria economia.