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  • Domenica 29 gennaio 2012

I portoricani e le elezioni

Negli Stati Uniti sono tra le comunità che vanno di meno a votare: Slate prova a spiegare perché, mentre i candidati alle primarie repubblicane provano a conquistarli

(AP Photo/Andres Leighton)
(AP Photo/Andres Leighton)

Tra gli elettori degli Stati Uniti, quelli di origine portoricana residenti negli Stati continentali si sono sempre mostrati poco propensi ad andare a votare. Alle elezioni presidenziali del 2000, per esempio, meno del 40 per cento dei portoricani si registrò per votare. Eppure, come nota Slate, nell’arcipelago di Porto Rico (che fa parte degli Stati Uniti come “territorio non incorporato” e si trova a est di Cuba) le elezioni hanno sempre avuto negli anni un’affluenza tra le più alte del continente americano, a volte più alta di paesi a solida tradizione democratica come la Finlandia e con punte anche superiori all’80 per cento. Da anni, così, molti sociologi e politologi si chiedono il perché di questa differenza di atteggiamento tra i portoricani emigrati e chi è rimasto nel paese d’origine.

Le spiegazioni sono state molto varie, spiega Slate: c’è chi ha parlato di educazione civica differente tra le isole e la terraferma americana, che farebbe sì che un isolano abbia più a cuore il voto piuttosto di un portoricano che vive in Florida, per esempio, mentre la scienziata americana Laura A. Baker è arrivata a spiegare il fenomeno basandosi su «cause genetiche». Tuttavia, una delle ipotesi più probabili è quella che si fonda sulla diversa percezione che i portoricani hanno nei confronti delle elezioni negli Stati Uniti rispetto a quelle nell’arcipelago. La differenza starebbe tutta nella “cultura del voto”, per cui votare a Porto Rico è quasi una festa nazionale, «simile al Natale», che incentiva molto i cittadini a recarsi alle urne sull’isola a differenza che in altri luoghi.

Non a caso, negli ultimi anni è sempre più frequente che i candidati a diverse elezioni della Florida (dove c’è un’ampia comunità portoricana e dove si voterà il 31 gennaio per le primarie repubblicane) organizzino le cosiddette caravana, ossia rumorose carovane di automobili e camioncini che invitano a votare per uno o l’altro candidato e che nell’arcipelago sono molto comuni. Il motivo è semplice: gli elettori portoricani in Florida hanno un gran peso, anche se finora non lo hanno espresso a pieno. Dei 1,473,920 statunitensi di origine ispanica ammessi al voto nello stato, circa il 20 per cento è di origine portoricana.

Dal punto di vista dell’orientamento politico, l’elettorato portoricano, secondo alcuni sondaggi citati da Slate, è per il 66 per cento politicamente di ispirazione democratica, a differenza dei cubani, per esempio, che da sempre votano prevalentemente per il partito repubblicano. Dunque in teoria i portoricani dovrebbero influire poco sulle prossime primarie repubblicane. Tuttavia, Mitt Romney dovrebbe organizzare nelle prossime ore una caravana sulle strade della Florida, mentre Newt Gingrich sta cercando consenso tra i portoricani soprattutto nelle chiese evangeliche a cui la loro comunità fa riferimento. Gingrich addirittura ha promesso che, una volta diventato presidente degli Stati Uniti, renderà Porto Rico uno stato membro a tutti gli effetti.

Attualmente Porto Rico è un cosiddetto “territorio non incorporato” degli Stati Uniti: ha sovranità limitata agli affari locali, un proprio governatore e due rami del Parlamento formalmente indipendenti, ma il capo di stato resta il presidente degli Stati Uniti. In base a questo status, i cittadini residenti a Porto Rico possono votare per le primarie, ma non per le elezioni presidenziali, a cui possono partecipare invece i portoricani residenti negli Stati Uniti. Proprio sullo status di Porto Rico all’interno degli Stati Uniti e su una sua eventuale indipendenza, l’ultimo dibattito tra i candidati repubblicani trasmesso dalla CNN è stato molto criticato dalla comunità portoricana: per i suoi rappresentanti, sia i candidati sia il moderatore del dibattito Wolf Blitzer avrebbero sorvolato volontariamente su una domanda fatta dal pubblico sulla questione dello status.

foto: AP/Andres Leighton

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