La vita nelle fabbriche degli iPhone

Il New York Times indaga sulle condizioni di lavoro nelle aziende fornitrici di prodotti elettronici, e sulle responsabilità e la mancata trasparenza di Apple

Martedì 24 gennaio Apple ha presentato i risultati economici del trimestre ottobre-dicembre 2011, con risultati spettacolari: circa 13 miliardi di dollari di profitti, più del PIL dell’Albania o dell’Islanda, su un totale di oltre 46 miliardi di dollari di ricavi. Nell’atmosfera piuttosto trionfante della presentazione dei risultati, i manager della società hanno detto che i ricavi sarebbero stati anche superiori, se le fabbriche che costruiscono i prodotti Apple avessero prodotto di più.

Un lungo articolo di Charles Duhigg e David Barboza per il New York Times descrive le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi che lavorano per Apple: la questione diventò sempre più rilevante dopo che emerse il caso dei numerosi suicidi alla Foxconn, una delle principali ditte fornitrici in Cina, all’inizio del 2010. Ma la società ha preso alcune contromisure, pubblicando rapporti e promettendo azioni concrete, e la strategia sembra aver funzionato almeno sul piano dell’immagine, dato che un sondaggio del New York Times dello scorso novembre ha mostrato che il 56% degli intervistati non associava nulla di negativo all’immagine della società (il 14% diceva che i prodotti sono troppo costosi), mentre solo il 2% ricordava le polemiche sulle condizioni dei lavoratori.

Il problema non è solo di Apple. La legislazione cinese è ampiamente inadeguata, e le società fornitrici di Apple spesso lavorano anche per diversi altri produttori occidentali. In passato sono emerse informazioni sulle condizioni critiche di fabbriche che lavoravano per Dell, Hewlett-Packard, IBM, Motorola, Nokia, Sony e Toshiba, tra le altre, e la gigantesca Foxconn Technology, una delle più grandi aziende di tutta la Cina, con circa 1,2 milioni di dipendenti e fabbriche in tutto il paese, che produce o assembla circa il 40 per cento di tutta l’elettronica di consumo del mondo. Ma il reportage si occupa di Apple, e prova a capire come hanno reagito e reagiscono i responsabili dell’azienda davanti alle notizie dei problemi nelle fabbriche cinesi.

Le condizioni di lavoro
L’articolo del New York Times dice che negli stabilimenti cinesi le condizioni di lavoro sono dure per quanto riguarda i turni di lavoro, le pressioni che vengono fatte sugli operai, le loro condizioni di vita e di sicurezza. All’inizio del 2010, almeno 137 operai di una fabbrica nella Cina orientale di proprietà della Wintek (che ancora oggi è una delle maggiori fornitrici di Apple) rimasero intossicati da un composto chimico, il n-esano, che causa danni al sistema nervoso. Gli operai dissero che erano stati istruiti a usare il n-esano per pulire gli schermi degli iPhone in costruzione perché evaporava tre volte più velocemente dell’alcool, e questo avrebbe permesso di pulire più schermi al minuto. Nel 2011, due esplosioni in due fabbriche che producono gli iPad, a Chengdu e a Shanghai, causarono 4 morti e 77 feriti. Nel caso di Chengdu, la causa fu l’alta concentrazione nell’aria di polvere di alluminio, un problema facilmente risolvibile con un adeguato impianto di ventilazione. Un gruppo di difesa dei diritti dei lavoratori aveva avvertito Apple dei pericoli all’interno della fabbrica, senza ricevere risposta.

Nella fabbrica di Chengdu sono impiegate circa 120.000 persone, con turni che coprono tutte le 24 ore del giorno. Sui muri, dice il New York Times, ci sono striscioni con slogan come “Lavora duro al tuo impiego oggi oppure lavora duro per trovartene un altro domani”. Apple ha un codice di condotta che fa sottoscrivere ai suoi fornitori, che dice tra le altre cose che gli operai non dovrebbero lavorare più di 60 ore la settimana. Questo limite però è infranto molto spesso e turni di 12 ore e sei giorni lavorativi su sette sembrano essere piuttosto frequenti. Il quotidiano statunitense dice che una buona paga per un operaio in possesso di un titolo di studio superiore è 22 dollari (meno di 17 euro) la settimana inclusi gli straordinari – il reddito medio di un abitante cinese delle aree urbane è di circa 316 dollari al mese (dati dell’Istituto Nazionale Cinese di Statistica, 2011) – e che Foxconn possiede a Chengdu appartamenti dove vivono circa 70.000 suoi dipendenti, spesso in condizioni di serio sovraffollamento.

Come agisce la società
Molti dipendenti attuali e passati di Apple, intervistati dal New York Times, hanno detto che la società si sta dando da fare negli ultimi anni per migliorare le condizioni di lavoro dei suoi fornitori. Il codice di condotta per i fornitori è stato adottato nel 2005, e la società ha avviato una campagna di ispezioni molto ampia nelle fabbriche che producono iPhone, iPod, iPad e computer, di cui viene pubblicato ogni anno, a partire dal 2007, un rapporto annuale sui risultati. Apple ha anche finanziato corsi sui diritti dei lavoratori e sulla sicurezza per circa un milione di operai che lavorano per le ditte fornitrici, e ha imposto la restituzione di diversi milioni di dollari che le ditte avevano chiesto agli operai come “contributo di assunzione” per ottenere il lavoro.

Nel 2011 Apple ha ispezionato poco meno di 400 fabbriche di fornitori, ma ogni anno vengono registrate regolarmente violazioni piuttosto gravi della sicurezza e degli standard che la stessa azienda indica per le condizioni di lavoro. Circa metà delle fabbriche ispezionate mostrano infrazioni nel numero massimo di ore e giorni di lavoro per operaio. In una settantina di casi negli ultimi tre anni si sono registrate violazioni gravi come falsificazione dei registri, gestione inadeguata dei rifiuti tossici, lavoratori minorenni e esposizione degli operai a sostanze chimiche dannose. I miglioramenti sembrano essere pochi, e le fabbriche “recidive”, che l’anno successivo all’ispezione presentano gli stessi problemi o altre violazioni, sono numerose.

Questo mette in discussione il modo in cui Apple reagisce una volta trovate le irregolarità. Secondo alcuni, tra cui un ex manager di Apple che ha parlato al New York Times, la società non ha un vero interesse a risolvere quei problemi, perché il sistema funziona e garantisce profitti alla società: Foxconn, ad esempio, è l’unica azienda che può garantire quelle quantità di merci prodotte, e Apple non sarebbe interessata a fare troppe pressioni. La società non insiste con i fornitori, che si limitano a promettere che risolveranno i problemi nel corso dell’anno, prima della prossima ispezione. In effetti, anche se Apple dice che intima ai suoi fornitori di risolvere le irregolarità entro 90 giorni se non vogliono incorrere in sanzioni, la società avrebbe interrotto i rapporti commerciali con meno di 15 fornitori negli ultimi cinque anni.

Apple e i suoi fornitori
L’articolo mette in discussione le condizioni che Apple richiede alle società che annualmente fanno la fila all’incontro annuale a Cupertino, la sede centrale di Apple in California, per diventare fornitori. Apple vuole conoscere tutti i dettagli finanziari, gli stipendi degli operai e i prezzi dei singoli componenti, garantendo spesso margini di profitto molto bassi per le società produttrici. Secondo alcuni ex dipendenti di Apple, senza aumentare i guadagni delle aziende produttrici non è possibile evitare che queste risparmino sulla sicurezza e impongano condizioni di lavoro massacranti, e non è possibile promuovere maggiori investimenti per migliorare la vita degli operai.

In almeno un caso, quello dell’utilizzo di n-esano tossico alla Wintek, Apple ha dichiarato (un anno dopo gli incidenti) di aver preso azioni decise come la richiesta di smettere di usare la sostanza e il monitoraggio delle condizioni di salute degli operai coinvolti, ma il New York Times ha intervistato una decina di loro e ha scoperto che nessuno era mai stato contattato direttamente o indirettamente dalla società.

L’atmosfera di segretezza che Apple richiede ai suoi fornitori potrebbe contribuire alla prosecuzione delle difficili condizioni di lavoro: chi diventa fornitore di solito deve firmare contratti in cui si impegna a non divulgare neppure l’esistenza di un accordo commerciale con Apple, e solo due settimane fa, dopo molte pressioni dei mezzi di comunicazione, la società ha diffuso la lista delle circa 150 ditte che lavorano per lei. La lista non è completa, non include centinaia di aziende che lavorano come fornitori dei fornitori, e non specifica dove si trovano molte delle fabbriche, che rimangono molto difficili da individuare.

foto: VOISHMEL/AFP/Getty Images