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  • Sabato 3 dicembre 2011

Facce da schiaffi

Dall'Urlatore Da Treno al Tipo Non Ho La Tv, undici profili tra "quelli che se lo meriterebbero", dal libro di Mattia Carzaniga: che riconoscerete, e in cui fingerete di non riconoscervi

di Mattia Carzaniga

È uscito il 31 ottobre per ADD Editore Facce da Schiaffi, di Mattia Carzaniga. È una raccolta spiritosa di tipi umani che lui stesso spiega nell’introduzione che pubblichiamo assieme ad alcuni dei tipi umani.
Il suo blog si chiama Only Connect
.

Perché se lo meritano
Questo non è un libro per buonisti. Con la conseguenza che i buonisti saranno i primi a essere presi a schiaffi in queste pagine. Non dovrei compiacermene, per la verità: si sa che in questo Paese i buonisti sono tanti, il che mi fa temere seriamente per le vendite del catalogo che avete tra le mani. Ma procediamo con ordine. Questo non è un libro per buonisti, dunque. Questo è un manuale di sociopatia autorizzata. Sociopatia perché dentro ci trovate elencate tutte quelle tipologie umane che secondo voi (sì, ho detto «voi», non guardatevi alle spalle) si meritano dal buffetto al manrovescio; passando per sberle, schiaffi, centre a piene mani, ceffoni di dorso, che fanno ancora più male. Autorizzata perché l’autorizzo io.
Non è questione di testa: è roba di pelle. In queste pagine potrete dare sfogo (quantomeno mentale) al risentimento che covate nei confronti di ampie fette di società. Probabilmente, almeno all’inizio, questa lettura scatenerà il moralista che è in voi; e che sarà tenuto a bada dalla vostra controparte ironica e politicamente scorretta (o almeno è ciò in cui confido: non vorrei trovarmi sommerso dalle vostre querele). Probabilmente vi spingerà ad arrabbiarvi ancora di più, dal momento che prendere a ceffoni gli oggetti del vostro quotidiano disprezzo è, purtroppo o per fortuna, illegale. Ma qui non si vuole fare del bullismo: questi sono ceffoni da selezione naturale. Non è intolleranza: è responsabilità sociale. Per questo ci tengo a precisare che non sono una persona cattiva. Voglio solo darvi la possibilità di far progredire insieme a me la specie umana.

Il Tipo So Tutto Io
Qual è vera la ricetta della coda alla vaccinara? Come si chiama la capitale del Burkina Faso? Quante settimane dura la gestazione di un beluga? Chi si è classificato penultimo al Festival di Sanremo del 1975? Qual era la formazione dell’Ucraina ai mondiali di calcio del 1982? Come dite, l’Ucraina all’epoca ancora non esisteva? Non importa, lui saprà comunque dare la risposta, piuttosto che fare scena muta la formazione dell’Ucraina se l’inventa, e sicuramente sarà quella giusta. Lui è il Tipo So Tutto Io, ed è qui per soddisfare ogni dubbio e domanda che non vi siete mai sognati di porre a chicchessia nella vita. Il Tipo So Tutto Io è quello che entra a gamba tesa in un qualsivoglia discorso, il più delle volte senza essere stato interpellato, perché ne sa sempre più di voi. Credete di avere ragione sull’origine del gorgonzola? Lui è qui per dimostrarvi che non è così. È quello cui tutti hanno detto, almeno una volta nella vita, «Sai che dovresti andare a Chi vuol essere milionario?», e riesce persino a farsene un vanto in società, pur chiudendosi nelle sue strette spalle da nerd e credendo che sia una cosa da minimizzare. È quello che fin da piccolo, con un bel paio di occhiali a goccia degni del suo idolo Mike Bongiorno, alzava mani e premeva pulsanti immaginari per dare immediatamente la risposta giusta alla maestra; quello che a scuola sapeva tutti i re di Roma, ma che appena andavi fuori dal suo campo di date e nomi andava in palla. Il Tipo So Tutto Io si mette a sudare freddo se non riesce a dire al primo colpo a quanto corrisponde il reddito pro capite degli abitanti delle Isole Tonga. Ha fatto del nozionismo una filosofia di vita. Domandategli chi è stato l’inventore dello schiaffo. Dopo che vi avrà (sicuramente) dato la risposta corretta, siete autorizzati a piantarglielo in mezzo alla faccia.

L’Urlatore Da Treno
Il treno è un posto bellissimo per stare un po’ in pace. Dove altro lo trovi quel vuoto pneumatico, quel silenzio che ti coccola, quella brezza che spira dai bocchettoni sopra la testa? Ed eccoli, allora, quelli che si mettono a gridare dentro i telefoni. L’Urlatore Da Treno nella maggior parte dei casi è:
• una diciassettenne in crisi con il fidanzato;
• una signora anziana appena caricata sul treno dai figli e che si attacca al cellulare per risalutarli con grande accoratezza (non prima di aver scartato un cartoccio con del pesce fritto);
• un wannabe businessman che vuole farti credere di stare gestendo da quel vagone di seconda classe il processo Mills;
• un immigrato che urla in immigratese dentro il telefono, e che, appena messo giù, si metterà ad ascoltare a tutto volume le suonerie del suo cellulare, indeciso se optare per il reaggeton o la lambada.

Il Vicino Con La Macchia (e Tanta Paura)
L’altra mattina mi hanno svegliato alle otto, cioè all’alba. Era il portinaio. Si è presentato alla porta insieme alla vicina del piano di sotto. La vicina del piano di sotto dice di essere una commercialista, ma in realtà è un’agente della Stasi, e mi controlla da quando ho messo piede in casa per la prima volta. Ha visto una macchia sospetta in un angolo del soffitto della cucina, che a detta sua corrisponde al mio bagno, anche se probabilmente non è vero. Lei ha SEMPRE visto una macchia sospetta, in ogni angolo del suo appartamento. Lo schema della vicina del piano di sotto è sempre lo stesso: non sono l’unico indiziato, ma di certo il principale. La vicina del piano di sotto mi sta già elencando in buon ordine tutti i danni che la macchia sospetta procurerà, quando s’ingrosserà e si metterà a sgocciolare. L’acqua sgocciolata sui cavi del computer provocherà un cortocircuito, e da lì un incendio che dal mobiletto rococò della prozia si andrà a propagare nell’intero l’edificio. Tu sei lì, gli occhi ancora pieni di cispe, sai che anche stavolta non sarà colpa tua e maledici solo il fatto di essere stato buttato giù dal letto alle otto, cioè all’alba. E sei lì che pensi soltanto: vicina del piano di sotto, la prossima volta lasciami dormire. O altrimenti prenditi una bella macchia sospetta sulla faccia. Allora sì potrai darmi tutte le colpe che vuoi.


Il Capo Ti Convoco Alle Sette Del Venerdì Sera

Il Grande Capo ti aveva chiesto di consegnargli la pratica per martedì mattina. Il sabato ti avevano invitato per un weekend al mare, ma tu come facevi, c’era la pratica da chiudere entro martedì, cazzo. Il Grande Capo sta anche cercando di farti socio dello studio, mica puoi fallire proprio stavolta. Sei riuscito a litigare domenica a mezzogiorno con i tuoi perché non sei andato a pranzo («Io non ho parole: c’è anche la zia Luisa che non vedi mai»), e domenica sera con la fidanzata perché non sei andato a cena («Ma certo, continua così, sai che ti dico: vaffanculo!»). Lunedì, vabbè lasciamo stare lunedì. Martedì sei in studio alle otto meno un quarto del mattino. Rileggi diciassette volte di seguito la pratica, sicuro che gli elenchi non sono fatti esattamente come vuole lui, sicuro che non va bene, quantomeno non è come dovrebbe essere. Sono le nove e trentacinque e il Grande Capo non è ancora arrivato. Non è da lui. Ti fai forza e chiedi alla segretaria. Scopri che il Grande Capo è via fino a venerdì. «Sa… Non gli dica che gliel’ho detto… Ma niente… è il venticinquesimo anniversario di matrimonio… e niente, ha portato la moglie a Marrakech…che carino… è davvero un uomo d’altri tempi, il dottore». Altri tempi, già. Conclusione: il Grande Capo ti convocherà alle Sette Del Venerdì Sera (da cui il titolo del capitolo). L’esempio può essere applicato a millemila altri casi. Gli schiaffi pure.

La Coppia In Crisi
La Coppia Muta

Al momento dell’ordinazione, il clima tra la coppia seduta al tavolo accanto al tuo è già ampiamente surriscaldato. Quando arrivano gli spaghetti cacio e pepe, lei sta dicendo: «E allora io che posto ho nella tua vita?», con la conseguenza che il primo boccone ti andrà di traverso. Al brasato con la polenta lei ha iniziato a piangere e lui le ha preso la mano, che lei però scansa brutalmente – dell’acqua, presto, ho un chiodo di garofano piantato nell’esofago. Al dolce lei ha smesso di piangere, è furente, lui alza la voce, lei si alza, lui dice: «Ma che cazzo stai facendo?», lei replica con un «Vaffanculo», tu chiedi il conto, il caffè lo prendi da un’altra parte. Pari alla Coppia In Crisi c’è solo la Coppia Muta. Quella che di passare una serata insieme in quel ristorante non ha proprio voglia. Glielo vorresti dire, ma perché non siete rimasti a casa, perché tu non sei andata al cinema con le amiche, e tu a giocare a calcetto. Loro fissano qualunque punto della sala, i quadretti con i mulini a vento alle pareti, le ortensie secche che pendono dalla mensola, le foto con il gestore e Raf. Loro fissano qualunque punto pur di non guardarsi. Non riesci neanche a mangiare, vorresti anzi chiedere il conto per loro, tanto ti fanno stare in pena. No, è il momento del dolce, chiedono un tiramisù in due, no, è troppo, non ce la fai a reggere quella scena, ti si stringe il cuore, chiedi il conto, no: paghi alla cassa. Non prima di aver mollato uno schiaffo. Diviso in due.

Il Bambino Con L’ADD
(che non è il nome dell’editore di questo manuale)
Ecco, la cosa peggiore che possa capitare al ristorante, più di una coppia che ha deciso di fare la Guerra dei Roses fin dall’antipasto, è Il Bambino Che Non Sta Stare Seduto, altrimenti noto come: il Bambino Con L’ADD – che non è il nome dell’editore di questo libro, ma sta per Attention Deficit Disorder. In quel Paese civilizzato che si chiama Stati Uniti d’America un tipo così lo imbottirebbero di farmaci. Ma se laggiù un bambino che non sta seduto nel banco a scuola – dove di adulto c’è solo una professoressa che ha visto troppe volte L’attimo fuggente e si trova davanti i baby-spacciatori della suburbia di Memphis – lo riempiono di piscofarmaci, da noi al ristorante dobbiamo trovarci dei piccoli esagitati che ballano la breakdance sotto ai tuoi piedi. In un attimo hanno preso possesso del locale, e tu di colpo sei il generale Custer a Little Big Horn. Poi c’è il genitore che capisce le tue esigenze, e lascia che il bambino passi la cena attaccato al Game – Boy. Ma lì gli schiaffi volano per altri motivi.

Il Blogger
E poi, di colpo, tutti hanno un blog. Tutti nel senso di tutti. Il tuo ex compagno di università e il tuo amministratore di condominio; persino tua zia sta pensando di aprirne uno sulla coltivazione delle azalee sul balcone. La gente lo dice senza vergogna: hanno un blog perché «è una cosa che mi rilassa, lo faccio per me, non mi interessa che gli altri lo leggano». Salvo poi intasare la posta e le bacheche altrui con link del tipo «L’importanza di un sorriso», in cui è raccontata nel dettaglio la loro cronaca di «un giorno speciale», quello in cui si sono svegliati con la luna storta, sono andati a far colazione al bar ed erano finite le brioche alla crema, e poi, nonostante un inizio così denso di sofferenza, dopo aver lasciato il posto sul tram a una vecchia, be’ allora hanno capito che in quei piccoli gesti alberga il senso della vita. La gente, del resto, ha una vena poetica repressa, e il blog serve a tirarla fuori. In un delirio di egocentrismo autorizzato, nessuno ferma più questi autori di diari pubblici che circolano in giro per il web, la rinnovata Smemo con i pensierini delle medie è oggi luogo di autobiografismi non richiesti, il veicolo per poter dire in società «Anch’io scrivo».Poi ci sono i blog di cucina, sull’onda del benedettaparodismo corrente secondo cui diffondere ricette è dire alla gente di mettere il philadelphia in forno per sedici ore e guarnire il tutto con latte di cocco e granella di nocciola (servire freddo). I più intelligenti, quelli che hanno dato due esami di filosofia teoretica nella vita (senza averli passati, si capisce), hanno già aperto un blog di «politica». Loro sono davvero intelligentissimi, conoscono tutti i segreti di tutte le Caste e sono così generosi da svelarli a tutto l’universo, in cambio di niente. E vai a spiegargli che l’anonimato serve solo a proteggerli dalle sberle che gente frivola e cattiva come noialtri, che darebbero un rene per un’auto blu e un pranzo alla buvette, gli darebbe. I miei preferiti restano i blog delle mamme. Quelle che prima raccontano con enfasi mistica l’esperienza «unica e straordinaria e irripetibile» della maternità, poi si mettono a postare le ecografie, poi l’mp3 con i primi vagiti, poi entrano in modalità «com’è difficile essere mamma moglie lavoratrice e incastrare tutto». Voglio scrivere un blog su come dare gli schiaffi a tutta questa gente. Anzi, ora giro un tutorial.

Il Tipo Non Ho La Tivù
Ebbene sì: è il terzo millennio e c’è ancora in giro il tizio che ci tiene subito a precisare che non ha la tivù, lui. Se ne fa proprio un vanto da sempre. Lui la tivù non l’ha mai guardata da piccolo, i suoi la tenevano sotto chiave e la accendevano solo per Tribuna politica. Dunque figurarsi, lui la tivù da grande non l’ha mai avuta, e non la vorrà mai avere. È questione di un attimo e ti rimette subito al tuo posto: ovvero piazzato in poltrona con un telecomando in mano a fare zapping tra Uomini e donne e La pupa e il secchione. Perché è così che Il Tipo Non Ho La Tivù vede tutti noi, che abbiamo l’Elettrodomestico del Demonio in salotto e magari di tanto in tanto lo accendiamo pure. Tu non gli hai mai chiesto niente, hai solo citato un programma a caso, effettivamente lo vedevi un po’ spaesato. Lui ha aspettato un po’, ti ha lasciato tutto il tempo necessario a farti sentire un deficiente, e alla fine te l’ha detto a chiare lettere: «Io non ho la tivù». Appunto. Il Tipo Non Ho La Tivù è quello che si giustifica più o meno così: «Dovrei averla per che cosa, solo per vedere la Gabanelli? Dimmi cos’altro si può guardare», e pena la morte se ti azzardi a replicare che ci sono cose decisamente più interessanti di Report, soprattutto sulle reti Mediaset, che non citi solo per non fargli venire una crisi di panico. Anche quando sa le cose – perché comunque è informatissimo sull’argomento, essendo la tivù una sua ossessione fin da quando era bambino, quando tutti guardavano Holly e Benji mentre lui giocava con il trenino elettrico e la fattoria di legno finge comunque di non saperle, perché deve ricordarti in ogni minuto che lui non la tivù non ce l’ha, nel caso vi foste collegati solo in questo momento. Il Tipo Non Ho La Tivù sicuramente ha l’Internèt, e sicuramente si è visto i filmati di Santoro sul sito di Repubblica (dove se no), e sicuramente anche in quei casi farà lo spaesato e dirà: «Ah, sì, ho visto qualcosa… Ma non ho capito bene: sai, non ho la tivù». Ditegli che ha ragione lui: la televisione può fare davvero male. Soprattutto se si prende qualcuno come lui a sberle. Con il telecomando.

Il Devoto Al Dio Steve Jobs
Il giorno in cui Steve Jobs ha rassegnato le sue dimissioni non ho voluto vedere nessuno, parlare con nessuno, ho spento tutti i telefoni, ho fatto in modo di non farmi trovare. Ho troppi amici per cui quello era un giorno bruttissimo. Il Devoto Al Dio Steve Jobs, che molti di quegli amici ben incarnano, vive dei frutti che la Apple gli offre. Ha sempre l’ultimo arrivato tra i Mac portatili, e poi l’iPhone, e l’iPod, e l’iPad, e pure la cuccia del suo cane è stata progettata a Infinite Loop, Cupertino, Silicon Valley. Ma non è questo il punto. Il punto è la superiorità con cui Il Devoto ti guarda quando parli di tecnologie. Cioè, tu non parli di tecnologie: tu parli semplicemente del tuo cellulare, lui parla dell’iPhone che-ha-cambiato-il-mondo. Lui proprio non capisce come tu possa vivere così sereno senza scaricare una «app» al minuto. E non dirgli «anch’io ho un Mac», il problema è che non vivete la cosa allo stesso modo. Tu ce l’hai solo «perché è più comodo» e glielo dici pure, cosa che lo manda in bestia: perché lui, a differenza tua, ne comprende a fondo la filosofia, che poi è la stessa che applica alla sua vita; e poi ne conosce ogni anfratto, saprebbe risolvere ogni tuo problema in fatto di tecnologia – se solo tu lo meritassi. Il Devoto Al Dio Steve Jobs fa fatica a spendere un euro per il biglietto del tram ma guarda con disprezzo chiunque si sogni di dirgli: «Io ho un pc che ho pagato molto meno». Il genio non si paga, il genio si venera. Lui ordina on line l’ultimo arrivato di casa Apple appena viene messo in vendita, conserva i vecchi modelli come reliquie, fa sosta in ogni Apple Store di ogni angolo del Pianeta, e poi posta le fotine su Facebook, e su FriendFeed, e su Twitter (tutto ciò via iPhone, si capisce). Il Devoto Al Dio Steve Jobs non ha più il semplice pollice opponibile: ha la deformazione del «touch screen». Anche noi vorremmo tanto fare il «touch screen» sulla sua faccia. Un bell’iSchiaffo che lasci il logo di una mela morsicata gli farebbe sicuramente bene.

Il «Veg»
E poi arriva il Veg. Il Veg non è il vegetariano, non azzardatevi mai a ridurre la sua scelta alimentare (anzi, esistenziale) a questo semplice, abusatissimo aggettivo. Lui ha sempre qualcosa di più complicato dietro, ed è qui apposta per spiegarvelo. Si muove su due direttive precise: farvi la lezione e farvi sentire una merda. Se voi gli dite che mangiate la carne appena una volta alla settimana, che qui non siamo nell’Idaho dove la gente di scofana sei cheeseburger al minuto, che la dieta mediterranea è la più equilibrata del mondo pur con quel poco di carne che ha (perché di fronte a lui riuscite a dire persino queste puttanate), vi guarderà fisso con il sorriso di chi pensa «Poveretto, non ha proprio capito niente». Tu gli fai anche le domande, gli chiedi: «Ma non ti manca la carne?». Lui ti guarda dritto negli occhi e dice queste parole: «Mah… Forse all’inizio un po’ i salumi… Ma ora no». E quel «no» chiude il discorso. Quel «no» dovrebbe farti sentire in colpa per tutti i ragù che sono passati dal tuo frigo, luogo di genocidi alimentari. Il Veg non ti dirà mai perché è diventato tale. «Quando», al massimo («Avrò avuto sedici anni…»), ma non il «perché».Perciò non dargli mai dell’animalista o dell’ecologista, anche quello sarebbe assai riduttivo. Soprattutto, non prendetelo mai, dico mai, in giro perché si ritrova a mangiare bistecchine di soia o hamburger di tofu. Lui vi guarderà come si guardano i matti, e la colpa sarà sempre e comunque vostra: «Il tofu è buonissimo, sei tu che non lo sai cucinare». Poi ci sono naturalmente le categorie di Veg «extreme». Quelli che, nella sfiga di poter già mangiare pochissima roba, aggiungono praticamente tutto il resto alla lista degli alimenti off limits, riducendosi a poter ingerire solo rapanelli e barbabietola («Ma guarda che con la barbabietola puoi farci anche il sugo, è eccezionale»). C’è il Veg che non ha amici, non potendo uscire a cena pressoché con nessuno, e dunque frequenta una setta di Veg che si ritrova una volta a settimana a discutere di temi Veg mangiando piatti Veg. C’è l’Eco-Veg, che compra solo cose «100% bio», pure le scarpe e i cotton fioc, e poi gira su una vespa del 1967. Ciao, Veg, vieni qui che ti prendo a schiaffi. No: a bisteccate.

Il Compilatore Di Voci Approssimative Su Wikipedia
Pure il buon Jimmy Wales, co-fondatore di Wikipedia si è lamentato, non troppo tempo fa. La gente che aveva reclutato per la sua Grande Enciclopedia Virtuale è cresciuta, che ci vuoi fare, si è sposata, ha figliato, è in vacanza al lago, è sparita nelle foreste del Belize, è morta in seguito a un’overdose di crack, insomma mica ha tempo di compilare nuove e attendibili voci. Il problema è che anche prima di sposarsi, andare in vacanza, morire di overdose ha compilato voci del cazzo, cui tutti abbiamo creduto. Del resto, è l’Enciclopedia Libera: lì chiunque è libero di fare quel gli pare. «Lo dice Wikipedia» è il grande male del nostro tempo, la grande chivuolessermilionarizzazione dell’umanità, il grande nozionismo cialtrone che è diventata la nuova informazione («su Internet ci si informa»). Era meglio il «Lo dice il prete» di una volta, sono pronto a farmi dare del teo con per questa affermazione. Il problema è che su Wikipedia trovi sempre scritte Le Cazzate, ma che ci vuoi fare, è la velocità, è il mondo che va in fretta. Non facciamo i moralisti che si aggrappano alle storielle del tipo «Vi ricordate quel ragazzino inglese che per fare il ganzo ganzissimo aveva scritto apposta su Wikipedia che quel tale musicista era morto e invece non era vero ma tutti i giornali ormai l’avevano scritto e hanno fatto una figura di merda?»: ecco, quei ragazzini inglesi sono ancora più dementi di quelli che compilano voci sbagliate senza saperlo. Si inventano cose sul sesso delle iguane, attribuiscono film a registi che nella vita han fatto tutt’altro, assegnano scudetti di serie A a squadre di calcio che a quel tempo erano già in C2. Il problema è che il Compilatore Di Voci Approssimative Su Wikipedia medio è un tizio del Midwest americano, pettinato da mullet, con il fucile nel retro del pick-up, gran fruitore di pornazzi on line, con più dimestichezza in fatto di Internèt del resto del vicinato, che già che c’è si mette a scrivere di cose che ha trovato scritte da qualche altra parte dell’Internèt. Novelli Salgari animati dal sacro fuoco della conoscenza condivisa che non si sono mai mossi dalla loro casa del profondo Ohio. Ora vado a vedere su Wikipedia che cosa hanno scritto alla voce «Schiaffo».