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  • Venerdì 2 dicembre 2011

Buone notizie dall’Africa

L'economia cresce, sorgono nuove infrastrutture, il mercato tecnologico si allarga: per continuare così servono più commercio e meno aiuti, scrive l'Economist

Negli ultimi dieci anni, sei delle dieci economie che sono cresciute più rapidamente al mondo sono di paesi africani. Negli ultimi otto anni l’Africa è cresciuta più in fretta dell’Asia Orientale, compreso il Giappone. Il Fondo Monetario Internazionale si aspetta che l’economia del continente africano cresca del 6 percento quest’anno e di un altro 6 percento nel 2012, più o meno la stessa percentuale di crescita prevista per l’Asia. Il titolo della copertina dell’Economist di questa settimana è: “The Hopeful Continent”.

Tra il 2000 e il 2008 circa un quarto della crescita economica dell’Africa è arrivata dalla vendita di risorse naturali. La crescita demografica è stato un altro fattore importante. Con il diminuire del tasso di fertilità in Asia e nell’America Latina, metà dell’aumento della popolazione dei prossimi 40 anni avverrà in Africa. Ma la crescita ha anche molto a che fare con le economie legate all’industria manifatturiera e di servizi che alcuni paesi africani stanno iniziando a sviluppare. Quello che non sappiamo è se l’Africa riuscirà a crescere su questi livelli anche quando la richiesta di beni diminuirà.

L’ottimismo quando si parla di Africa deve essere preso a piccole dosi, continua l’Economist, perché le cose restano drammatiche per gran parte degli abitanti del continente. La maggior parte degli africani vive con poco più di un dollaro al giorno. La quantità di cibo prodotta per persona è diminuita dagli anni Sessanta. Il clima sta peggiorando, con un notevole incremento di deforestazione e desertificazione. Alcuni dei paesi che crescono più in fretta, come l’Angola o la Guinea Equatoriale, sono di fatto delle cleptocrazie fondate sul petrolio. Quelli che stanno interpretando meglio lo sviluppo economico, come l’Etiopia e il Rwanda, sono politicamente pericolosi. Il Congo è ancora ingovernabile e largamente corrotto. Lo Zimbabwe è una cicatrice sulla coscienza di tutta l’Africa meridionale. Il Sudafrica, che un tempo era un modello per l’intero continente, è macchiato dalla corruzione e dalle lotte intestine interne al partito al governo.

Eppure ci sono anche molti segnali positivi che non possono essere ignorati. L’arrivo della Cina ha migliorato notevolmente le infrastrutture dei paesi africani e lanciato la sua industria manifatturiera. E come la Cina stanno già arrivando Brasile, Turchia, Malesia e India. Il mercato tecnologico si sta ampliando rapidamente. L’Africa ha oltre 600 milioni di utenti di telefonia mobile, più dell’intera America e dell’Europa. Il tasso di produttività annuo sta crescendo, e ora è a circa 3 percento. I trend demografici potrebbero incrementare questa crescita, perché l’arrivo di una nuova generazione di forza lavoro più colta potrebbe essere un enorme incentivo per l’economia. Nell’insieme, conclude l’Economist, quello di cui l’Africa ha bisogno è “more trade than aid”: più commercio e meno aiuti. Da parecchi anni, infatti, studiosi ed esperti hanno fatto notare come le politiche di aiuti economici indiscriminati abbiano avuto l’effetto di bloccare lo sviluppo africano: non solo per il loro messaggio deresponsabilizzante ma anche perché il denaro finisce molto spesso per essere gestito dai dittatori e dai potenti locali, che lo usano per rafforzare il proprio consenso e non secondo logiche umanitarie. La crescita economica, invece, distribuisce la ricchezza più equamente e contribuisce alla formazione e all’allargamento della classe media, condizione necessaria alle trasformazioni democratiche.

I governi africani dovrebbero facilitare chi avvia un’impresa e vendere la terra ai singoli agricoltori. I governi occidentali dovrebbero puntare su politiche di scambi economici invece che su politiche di aiuti. E gli investitori stranieri dovrebbero firmare l’Extractive Industries Transparency Initiative, che consentirebbe ai governi africani di sapere quali sono i prezzi che le aziende straniere pagano per lo sfruttamento delle risorse naturali. Corruzione, autarchia e violenza non spariranno in un batter d’occhio, ma in tempi di crisi globale il progresso dell’Africa serve a ricordarsi del potere trasformatore della crescita economica.

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