Le banche che si preparano al peggio

Gli istituti di credito statunitensi e britannici iniziano a fare piani per un futuro senza l'euro, dice il New York Times

Oggi il New York Times pubblica un lungo articolo nel quale si sostiene che diverse banche britanniche e americane starebbero già pianificando le loro operazioni future in uno scenario senza euro. Un’ipotesi che, secondo gli istituti di credito, sta diventando più plausibile, soprattutto dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni: le scarse vendite dei titoli tedeschi decennali, il declassamento del debito del Belgio (da AA+ ad AA) da parte dell’agenzia di rating Standard and Poor’s, il declassamento dei debiti sovrani di Portogallo e Ungheria al cosiddetto livello “spazzatura” e infine le voci sempre più insistenti su un altro possibile downgrade da parte delle agenzie, che potrebbe interessare la Francia e portare alla perdita della sua tripla A.

L’articolo del New York Times raccoglie gli allarmi che hanno diffuso diversi dirigenti di banche inglesi e americane nel corso dell’ultima settimana, insieme a testimonianze anonime raccolte tra alcuni importanti banchieri. Il 24 novembre, infatti, Andrew Bailey, funzionario dell’Autorità dei Servizi Finanziari della Gran Bretagna, ha detto pubblicamente che «gli istituti del regno devono cominciare a pensare a un’Europa senza euro». A conferma di questo, Merrill Lynch, Barclays Capital (la cui metà degli investitori, secondo un recente sondaggio, pensa che almeno un paese uscirà dall’euro) e Nomura questa settimana hanno scritto in vari studi che «l’eurozona è entrata in una fase più pericolosa» e che, come dice la stessa Nomura, senza l’intervento deciso della Banca centrale europea (a cui la cancelliera tedesca Angela Merkel si oppone fermamente) “il crollo dell’euro è uno scenario probabile”. Anche la Royal Bank of Scotland si sta preparando al peggio, mentre gli Stati Uniti hanno fatto pressioni su Citigroup e altre banche per ridurre la loro esposizione nei confronti dei titoli dell’eurozona e di conseguenza del suo debito. Hong Kong, invece, ha aumentato i controlli sugli istituti nazionali e stranieri per valutare i rischi collaterali in caso di crack della moneta unica.

Alcune banche in particolare stanno già valutando le conseguenze di uscita dall’euro non solo della Grecia (ipotesi, come ha rivelato lo Spiegel, già presa seriamente in considerazione dalla Germania), ma di più paesi: Spagna, Portogallo, Italia, ma anche la Francia, per esempio. In questo caso, Merrill Lynch ha già in serbo un piano B che terrebbe in considerazione il ritorno di questi paesi alle vecchie valute e il crollo del loro valore nei confronti del dollaro, a differenza di quanto accadrebbe con quelle di Germania, Olanda e Irlanda che invece, in caso di crollo totale dell’euro, sarebbero relativamente più forti.

Molte banche italiane e francesi come BNP Paribas, Société Générale, UniCredit e Intesa Sanpaolo, invece, sarebbero certe della solidità dell’euro e non hanno pianificato nulla in caso contrario. L’idea è che in caso di stretta emergenza, la BCE potrebbe intervenire massicciamente in ultima istanza, con l’inevitabile assenso della Germania. Un banchiere francese, sotto anonimato, ha detto al NYT che mentre «gli Stati Uniti pensano che l’euro sia sul punto di collassare, noi crediamo che l’Europa rimanga così com’è». Ma un altro banchiere francese, sempre anonimo, ha invece detto al quotidiano «che se anche una sola nazione dovesse uscire dall’euro, gli effetti saranno simili a quelli relativi al crollo di Lehman Brothers, ma moltiplicati per dieci».

AP Photo/Michael Probst