• Italia
  • Mercoledì 28 settembre 2011

Paghiamo le tasse, siamo

La lotta all'evasione fiscale non è solo una questione di conti e soldi rubati

Il dibattito sull’importanza e la priorità delle iniziative contro l’evasione fiscale è intenso da tempo, e non c’è dubbio che sul piano politico la contraddizione dentro la maggioranza – che da una parte accusa l’evasione fiscale dei buchi che non sa colmare in modi responsabili, dall’altra la avalla e tollera con indulgenze e condoni – sia una nuova dimostrazione della sua inadeguatezza. Ma la parte interessante è quella che prescinde dalla contingenza – che si spera in esaurimento – e che affronta il tema a forza di conti, costi, benefici e ipotesi argomentate: come stanno facendo alcuni commentatori sulla Stampa in questi giorni.

Però la benvenuta concretezza della discussione deve stare attenta a non appendere al conteggio economico tutto il problema dell’evasione fiscale, che non è solo cosa da quanto ci si perde e quanto ci si guadagna. C’è pure, e in questo caso l’abusata formula ha ragione di essere usata, una questione di principio. Non pagare le tasse è una violazione delle regole irrispettosa degli altri e dell’appartenenza a una comunità, traditrice di una necessaria aspirazione al bene comune. Non è solo “rubare i soldi” al tuo vicino, è sintomo e pilastro di una generale estraneità a quella che si chiama convivenza civile, che in Italia sta alla base del disastro di cui andiamo parlando ogni giorno: pur avendo festeggiato lieti il nostro essere tutti italiani solo la scorsa primavera, e ce ne siamo già dimenticati.

L’argomento indulgente e attenuante sull’evasione fiscale, usato anche da parte di benintenzionati, sarebbe che il peso delle tasse e le difficoltà economiche di fatto costringerebbero alcuni a praticarla, con la sola alternativa di chiudere le loro baracche, dichiarare fallimento, non arrivare alla fine del mese. È interessante notare come questa linea di ragionamento, che oggi spesso proviene da destra, sia la stessa di cui è stata sempre accusata una sinistra “relativista” che chiedeva tolleranza e comprensione per chi compisse furti, sottrazioni e reati perché costretto dal contesto e dalla miseria. “È colpa dell’ambiente”, dicono oggi alcuni che hanno sempre contestato questa formula.
Però non è un’attenuante da trascurare – non lo è mai stata – basta essere d’accordo che le sedi in cui tenerne conto sono quelle giudiziarie o progettuali: per giudicare i singoli casi e capire i contesti e prevenire. Ma non è possibile che pesino nel rendere consuetudine accettata un reato e la violazione di una regola condivisa.

Questo deve essere quindi, prima di tutto, un progetto contro l’evasione fiscale, accompagnato da un ragionamento sulla pressione fiscale e delle scelte anche su questa: non un sistema come un altro per “recuperare” dei soldi, né una finzione per stornare altrove responsabilità politiche. Ma un modo – importante – di dire che questo è un paese normale in cui le regole si rispettano: che è un paese.

Anzi, che “siamo” un paese, come dice Carlo Fruttero.