L’Armenia fu il primo paese al mondo a riconoscere la religione cristiana come religione di Stato, nel 301, con il battesimo del re Tiridate III per opera di San Gregorio Illuminatore. Circa un secolo dopo, forse stanchi di pregare in greco e siriaco, San Mesrob creò un alfabeto e immediatamente, accanto alla traduzione della Bibbia, si sviluppò una letteratura straordinaria in grabar, l’armeno classico, in cui ancora oggi viene celebrata la messa. Nel 451, impegnati in una guerra contro i persiani, che volevano convertirli allo zoroastrismo e rompere così l’unità con Bisanzio, gli armeni non parteciparono al Concilio di Calcedonia e per motivi essenzialmente politici (i bizantini non li avevano aiutati nella lotta contro la Persia) rifiutarono le tesi del Concilio venendo così ingiustamente accusati di essere monofisiti, ovvero di riconoscere solo la natura divina di Cristo e non anche quella umana. Alcuni anni fa, la Chiesa Cattolica ha riconosciuto l’infondatezza dell’accusa.
Dal IV secolo in poi, gli armeni difesero sempre il loro essere cristiani, tanto che la religione divenne un carattere imprescindibile della definizione dell’identità armena, anche per via delle numerose dominazioni straniere e non cristiane.
Nel 1700 un monaco originario di Sebaste, Mechitar, approdava a Venezia (dopo essere passato per la Morea) e fondava il Monastero di San Lazzaro, in una stupenda isoletta della Laguna. Armeni, ma fedeli al papato, i mechitaristi divennero un ponte tra la Chiesa cattolica e quella gregoriana e inoltre portarono (e portano tuttora) avanti un’opera culturale senza pari, raccogliendo e conservando un’infinità di antichi manoscritti armeni (i monasteri mechitaristi di Venezia e Vienna raccolgono la più grande collezione di manoscritti armeni dopo la Biblioteca nazionale di Yerevan), aprendo scuole in ogni angolo del mondo, ovunque vi fossero degli armeni (ed è un popolo che ha viaggiato parecchio), traducendo libri armeni nelle lingue occidentali e viceversa.
Alcuni padri mechitaristi vennero uccisi, assieme ad un altro milione e mezzo di armeni, nel Genocidio del 1915 perpetrato dai Giovani Turchi. Genocidio che in Turchia, ancora oggi, la legge vieta di chiamare tale. È vietato chiamare genocidio la sistematica eliminazione dell’élite intellettuale armena a Costantinopoli che avvenne il 24 aprile 1915. Così come è vietato chiamare genocidio, l’assassinio degli uomini nell’Armenia storica o la lenta agonia dei bambini e delle donne nel deserto siriano, con i ferri di cavallo inchiodati nei piedi. Fu un piano studiato, elaborato con attenzione, iniziato anni prima (nonostante la storiografia turca voglia farlo passare come un qualcosa all’interno della Prima guerra mondiale), con i Massacri Hamidiani di fine Ottocento e poi con il Massacro di Adana del 1909.
Dopo il Genocidio, i sopravvissuti si riversarono nuovamente nel mondo, così come i loro antenati avevano fatto. Alcuni in Medio Oriente, in Libano, in Siria. Altri in America settentrionale. Qualcuno in Italia. Moltissimi in Francia. Tra i francesi di origine armena più famosi vi è ad esempio Charles Aznavour e che oggi ricopre infatti il ruolo di ambasciatore armeno in Svizzera.
Del passato sovietico si ricordano certamente due cose. La tragedia della guerra, dalla fine degli anni ’80 ai primi anni ’90, con l’Azerbaigian per l’indipendenza del Nagorno-Karabakh, una regione abitata da armeni, ma circondata dal territorio azero. E poi, naturalmente, le straordinarie storielle di Radio Yerevan, dove la sottile ironia raccontava drammi antichi e moderni, come quando, all’ascoltatore stupito davanti ad un Ministero della Marina della Repubblica Socialista Sovietica Armena (senza sbocchi al mare), il giornalista rispondeva che lo si faceva per imitare l’Azerbaigian. Loro hanno addirittura un Ministero della Cultura.
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