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  • Sabato 10 settembre 2011

Come vanno le cose in Somalia

Il governo non riesce a controllare il paese nonostante il ritiro di al-Shabaab, la lotta per il potere sta riprendendo

Il 7 agosto le milizie di al-Shabaab si sono ritirate dalla capitale della Somalia, Mogadiscio, per la prima volta dopo anni di vessazioni e violenza. Per il governo somalo sembrava essere finalmente arrivata l’occasione di pacificare un paese diviso e piegato da vent’anni di guerra. A un mese da quel giorno, invece, quello che sta emergendo non sembra essere altro che una nuova, violenta e confusa lotta intestina per il potere. Ne parla il New York Times.

Il governo è troppo debole, corrotto, diviso e disorganizzato per assicurarsi il controllo di Mogadiscio e sta lasciando che i signori della guerra armati da governi stranieri continuino a combattere tra di sé per assicurarsi il controllo delle zone del paese abbandonate da al-Shabaab. Molti analisti sostengono che sia Shabaab che il governo si stanno spaccando e che la guerra è solo destinata ad aumentare e a peggiorare la già gravissima crisi umanitaria prodotta dalla recente carestia.

Negli ultimi mesi in Somalia sono spuntati più di venti piccoli stati, tutti armati e pronti a combattere per ottenere al più presto qualche forma di riconoscimento internazionale, e di relativi contributi economici. L’esercito dell’Unione Africana, presente nel paese come forza di pace, ha fatto sapere di essere molto preoccupato da questa nuova frammentazione, che ricorda pericolosamente quello che accadde dopo il collasso del governo nel 1991. «Quello che teneva insieme tutti quanti ora se n’è andato», ha detto al NYT un ufficiale dell’Unione Africana che ha chiesto di mantenere l’anonimato. «Tutti questi clan si erano uniti per combattere al Shabaab ora stanno iniziando a farsi la guerra tra di sé. Non eravamo preparati a questo, sta accadendo troppo rapidamente».

Probabilmente, scrive il NYT, nessun’altra zona illustra altrettanto chiaramente quello che sta succedendo in Somalia quanto quella di Dhobley, una città vicino al confine col Kenya contesa da due opposte fazioni: una guidata da un sedicente intellettuale, Mohamed Abdi Mohamed, l’altra da uno sceicco islamico un tempo vicino a Shabaab, Ahmed Madobe. Il primo, meglio noto nella zona con il nome di Professor Gandhi, ha fondato il suo stato e l’ha chiamato Azania. Dice di avere conseguito due dottorati in Francia, uno in geologia e uno in antropologia. Le sue forze hanno collaborato nei mesi scorsi con quelle dello sceicco Madobe riuscendo a cacciare da Dhobley le milizie di al Shabaab con l’aiuto dell’esercito keniota, che ora naturalmente rivendica il diritto di controllare il territorio.

Al Shabaab ha ancora migliaia di combattenti arruolati nelle sue file, ma al momento è indebolita da profonde divisioni interne. Molti dei suoi leader storici sono stati uccisi e la scelta di impedire l’arrivo di aiuti umanitari nelle zone sotto il loro controllo ha spinto moltissime persone che vivevano in quei territori ad abbandonarli in cerca di cibo e aiuti, riducendo notevolmente il bacino di giovani da cui potevano attingere nuove reclute. Le nuove forze anti-Shabaab non hanno ancora trovato una strategia di lotta comune contro il governo. Lo sceicco Madobe dice di essere disposto a trattare, il professor Ghandi invece è convinto che sia una causa persa in partenza. Ma anche quelle poche amministrazioni locali allineate al governo dicono di non ricevere abbastanza aiuti da Mogadiscio e stanno valutando di staccarsi. «Indipendenza, questo è il nostro sogno», dice Abdirashid Hassan Abdinur, amministratore di Dolo, vicino al confine con l’Etiopia.

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