Lunedì prossimo, 5 settembre, si concluderà nel deserto del Nevada il festival di arte, musica e “autosufficienza” che si chiama Burning Man e che ha caratteristiche creative e spettacolari uniche. Burning Man si tiene ogni anno dal 1991 durante la settimana che precede la festa del Labor Day (la festa dei lavoratori statunitense, che si svolge il primo lunedì di settembre). Migliaia di persone si radunano nel deserto e costruiscono dal nulla una città che funziona con regole anarchiche e rigide insieme, Black Rock City, e che faranno scomparire alla fine della settimana.
L’idea del festival venne a tre amici, Kevin Evans, John Law e Michael Mikel, nel 1990; il nome deriva dall’ultima notte del festival, in cui viene bruciata un’enorme scultura di legno dalla forma umana, un rito che i fondatori di Burning Man avevano mutuato dai falò annuali sulla spiaggia di Baker Beach a San Francisco in cui un’altra coppia di amici, Larry Harvey e Jerry James, davano fuoco alle sculture di legno preparate dall’artista Mary Grauberger.
Burning Man però non è un festival come tutti gli altri, come sa chi ci è stato ma anche chi negli anni si è abituato a vederne le immagini spesso raccolte in servizi giornalistici per la loro forza spettacolare. Se ne capisce lo spirito leggendo la guida scaricabile dal sito, che raccoglie le regole del festival, piuttosto articolate per un raduno di artisti. «Burning Man» vi si legge «è un esperimento annuale di creazione di una comunità temporanea, dedicato alla radicale espressione di sè, e ad una forma radicale di autosufficienza».
Non è Woodstock, insomma. Non ci sono concerti con grandi nomi, non c’è un palco principale, non ci sono esibizioni pubblicizzate. Ognuno dei partecipanti è democraticamente libero di organizzare esibizioni, mostre d’arte, performance, workshop e giochi e segnalarli (o non segnalarli) all’organizzazione del festival, che pubblica sul sito gli eventi già registrati prima dell’inizio del festival.
L’obiettivo primario, però, è esattamente quello che spiega la guida, ovvero la costruzione di una comunità urbana (per quanto temporanea), in tutte le sue dinamiche e regole di comportamento. A Black Rock City, come in tutte le piccole città, si sviluppano forme di collaborazione e reti di rapporti basati sulla prossimità delle proprie abitazioni o sul legame affettivo. Come tutte le città, anche Black Rock City ha un piano regolatore. Chi va al festival, infatti, non si può accampare dove vuole, ma deve rispettare la griglia tracciata nei giorni precedenti dagli organizzatori. La pianta di Black Rock City è uguale ogni anno, ed è stata disegnata nel 1998 dall’urbanista Rod Garret (morto qualche giorno fa). La città è formata da cerchi concentrici, che circondano un grande spazio vuoto, al centro del quale c’è l’altissima scultura di legno che prenderà fuoco l’ultima notte, The Man. I burner (così si definiscono i partecipanti del festival) si possono accampare su 2/3 della circonferenza; lo spicchio vuoto, come lo spazio centrale, viene utilizzato per installazioni artistiche ed esibizioni.
Burning Man si basa su tre regole ferree. La prima è che all’interno di Black Rock City non si può né vendere né comprare niente. Né acqua, né cibo, né beni di prima necessità. L’organizzazione fa due sole eccezioni per il ghiaccio, di cui c’è gran consumo, e per il caffè. Il baratto e il dono sono le uniche forme ammesse di passaggio di proprietà dei beni, cibo compreso.
La seconda regola deriva dalla prima: è obbligatorio portarsi tutto quello di cui si può avere bisogno in una settimana di campeggio nel deserto, dalle attrezzature al cibo, all’acqua, ai teli per creare ombra attorno alla propria tenda, camper, capanna. Chi vuole illuminare il proprio accampamento, poi, deve portarsi un generatore, perché non esiste un sistema di distribuzione dell’energia elettrica.
Se i volontari che controllano gli accessi alla città valutano che un partecipante appena arrivato non è sufficientemente attrezzato, possono decidere di non farlo entrare e rimandarlo a casa, anche se ha già pagato il biglietto, che costa tra i 210 e i 320 dollari. Chi scopre di non avere qualcosa di fondamentale, o finisce l’acqua o il cibo, può chiederlo ai vicini, sperando nella loro generosità, o barattare qualcosa che ha in più con quello di cui ha bisogno.