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  • Martedì 19 luglio 2011

Gli archivi del regime in Libia

Human Rights Watch ha messo le mani su molti documenti del regime di Gheddafi, e tra questi c'è il video di un'esecuzione pubblica del 1984

Peter Bouckaert lavora per l’organizzazione non governativa Human Rights Watch, che si occupa della tutela dei diritti umani nel mondo, ed è da poco entrato in possesso di un ampio archivio contenente documenti, immagini e filmati degli anni del regime di Muammar Gheddafi in Libia. La raccolta testimonia l’ascesa del leader libico dal colpo di stato del 1969 alla sua progressiva trasformazione in dittatore spietato, pronto a condannare a morte senza particolari scrupoli i sospettati sovversivi.

Insieme al fotografo angloamericano Tim Hetherington, ucciso lo scorso aprile durante la battaglia di Misurata, Bouckaert ha rivisto, selezionato e raccolto centinaia di fotografie recuperate da un funzionario libico. Molte foto mostrano Gheddafi nei giorni della rivoluzione. Appare giovane, accanto al presidente dell’Egitto dell’epoca, Gamal Abdel-Nasser, e in pose naturali tra la folla. Immagini molto diverse da quelle degli ultimi tempi, più ingessate e costruite per mettere sempre al centro della scena il leader libico.

In una fotografia si vede anche l’ultima visita del re Idris a Bengasi poco prima che il colpo di stato militare portasse alla caduta della monarchia filo-occidentale. Sullo sfondo si intravedono anche le bandiere del Regno Unito di Libia, utilizzate fino al 1969 e ora sventolate dai ribelli che lottano e si oppongono al regime di Gheddafi.

Nell’archivio ci sono anche alcuni filmati che testimoniano efficacemente gli effetti della dittatura. Un filmato mostra l’esecuzione di Sadiq Hamed Shwehdi, processato sommariamente nel 1984 con l’accusa di aver partecipato a un piano per rovesciare il regime. Il cugino di Shwehdi, Magdi, fu ucciso nel corso di un raid contro il complesso in cui si trovava Gheddafi a Bengasi. Il regime rispose con l’arresto di almeno duemila persone e l’esecuzione di dodici dissidenti, accusati di aver organizzato l’operazione insieme ai servizi segreti statunitensi.

Ashour Shamis, uno dei dissidenti che aiutò a organizzare il piano, ricorda che il gruppo di persone che parteciparono all’operazione furono addestrate in Marocco e in Sudan. Alcuni penetrarono nei confini libici passando attraverso la Tunisia, dove l’iniziativa era supervisionata da Zine al-Abidine Ben Ali, all’epoca responsabile della sicurezza del paese e successivamente presidente dello stato. Secondo Shamis, Shwehdi era un libico che provava disgusto per il regime come tanti altri suoi connazionali. «Lasciò gli studi e una vita confortevole in America per tornare in Libia. Sapeva che rischiava la propria vita» spiega oggi Shamis al Guardian, che ha realizzato un breve documentario sull’archivio di foto, documenti e filmati dalla Libia.

Il processo e l’esecuzione di Shwehdi furono trasmessi in diretta dalla televisione di stato libica. Il ribelle fu condotto all’interno di un palazzetto dello sport di Bengasi, davanti a una folla di migliaia di adulti e bambini. Davanti ai giudici, Shwehdi fu costretto ad ammettere le proprie responsabilità e chiese pietà per la propria vita, ma le accuse contro il trentenne erano di terrorismo, appartenenza ai Fratelli Musulmani e di essere un agente statunitense sotto copertura.

Nel filmato che testimonia il processo sommario e l’impiccagione di Shwehdi compare anche una donna tra la folla, vestita di verde, che incita i presenti a non concedere alcuna pietà per il condannato. La donna, spiega Bouckaert, è Huda Ben Amer, l’incaricata di procedere con l’esecuzione e destinata a diventare negli anni seguenti una delle favorite di Gheddafi e un importante membro del regime. Nel corso delle prime settimane della rivolta contro il leader libico di quest’anno, la casa di Ben Amer è stata assaltata e distrutta dalla folla. La donna è riuscita a sfuggire all’attacco e alcune settimane dopo è comparsa accanto al leader libico in uno dei suoi interminabili discorsi alla televisione di stato.