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  • Mercoledì 8 giugno 2011

Itabolario: Bar (1897)

Massimo Arcangeli ha raccolto 150 storie dell'Italia unita, una per ogni anno: Itabolario. L'Italia unita in 150 parole (Carocci editore)

di Massimo Arcangeli

1897. Bar (s. m.)

Nel volume con l’inglese a esponente della nona edizione del dizionario italoinglese di Giuseppe Baretti, ad vocem, fra i tanti significati dell’inglese bar c’è il «luogo nelle osterie, nelle botteghe, e simili, dove si nota quel che si vende» ma non ancora il locale ospitante, bottega o osteria, mescita o liquoreria (A Dictionary of the English and Italian Languages, […] to Which is Prefixed an Italian and English Grammar, the ninth edition, corrected and improved by Ch. Thompson, vol. II, Longman et al., London 1839). Nel 1869, nell’“edizione stereotipa” di un altro vocabolario bilingue, a uso scolastico, compilato da James Pitt Roberts (Dizionario Italiano-Inglese e Inglese-Italiano ad uso di ambedue le nazioni, colla pronuncia e coll’accento su tutte le parole delle due lingue e con una breve grammatica dell’etimologia di ciascun idioma, Barbèra/Christern, Firenze- New York; 1a ed. 1867), siamo nuovamente di fronte al fatto incompiuto; qui bar è la «stanza in un’osteria dove si servono liquori». È ancora l’autore di un dizionario “bilingue”, a quanto sembra, a rilasciare per primo patente italiana a bar (come termine inglese ancora in PEH, 1892-95, s. v.), in un significato prossimo a quello di moderno “locale per il rapido consumo di dolci, panini, bevande e sim.” (Vocabolario milanese-italiano, Paravia, Torino 1897, s. v.).

Nel giro di pochi anni, dopo quell’iniziale acquartieramento meneghino, si sarebbero materializzati altri insediamenti di bar, tutti riconducibili alla medesima area di prima accoglienza: dagli esempi attinti ai quotidiani milanesi di primissimo Novecento (Bisceglia Bonomi, 1976, p. 121) a una testimonianza del 1914 di Guglielmo Emanuel (DELI, 1999, s. v.; Heinimann, 1946, p. 133), futuro direttore del “Corriere della Sera” e allora corrispondente per il giornale da Londra (dove rimarrà, salvo la parentesi militare come sottotenente del Genio, fino al 1920: Annunziata, 1998, p. 148). Nel frattempo era arrivato barman, poi adattato in barista (o barrista): il primo era confluito nel Dizionario moderno, a partire dalla seconda edizione (DM, 1908, s. v.), il secondo finirà in Rigutini (1926), s. v. bar (nelle due forme predette). La nostra parola, ammessa anche da Monelli, 1943, s. v., scamperà alle liste di proscrizione dell’era fascista (BOICOTTAGGIO [1888]). Non comparirà, anche solo per rimarcarne l’invariabilità al plurale (come avviene invece per sport), in nessuno degli elenchi di forestierismi da sostituire stilati dalla Reale Accademia d’Italia (cfr. DM, 1942, pp. 881-95) e pubblicati, fra il maggio 1941 e il luglio 1942, sul bollettino ufficiale di quell’importante istituzione; la ragione era apparsa ben chiara, già nel 1926, al ministro delle Finanze Giuseppe Volpi (conte di Misurata), come risulta da un comunicato della Confederazione nazionale fascista dei commercianti del 30 dicembre di quell’anno:

In merito alla tassa sulle insegne in lingua straniera, e precisamente per quella che riguarda la parola bar, il ministro delle Finanze ha ammesso che i Comuni abbiano a esentare tale vocabolo dalla tassa sulle insegne in lingua straniera, perché la parola bar non è perfettamente traducibile in italiano, dato che la corrispondente parola taverna non designerebbe affatto il tipo dell’esercizio che ormai suole indicarsi col vocabolo bar (ivi, s. v.).

Fra le tante altre proposte traduttorie avanzate nel Ventennio, anche posteriormente al 1926: i brutti e impossibili barro e barra, quest’ultimo allora in uso nell’italo-americano newyorkese («accanto a una lugubre bara»: Menarini, 1941, p. 113; cfr. Id., 1939, p. 158); ber, bettolino, caffè, liquoreria, quisibeve, taberna potoria, taverna (Id., 1941, l. cit.); mescita, «ormai riservato quasi esclusivamente alle vendite di vino, mentre la parola bar si usa per indicare locali ove si prendono liquori e bevande diverse, stando in piedi oppure seduti su sgabelli» (EISLA-Trecc., vol. VI, 1930, s. v. bar).

La mescita è uno fra i tanti esercizi commerciali sette-ottocenteschi di asporto e/o consumo sul posto di cibi e bevande – dalle vecchie taverne, bettole, cantine, osterie ai moderni ristoranti, trattorie, pizzerie, birrerie (arriveranno poi mense, pub e risto-pub, piano-bar, fast food e slow food, creperie, yogurterie e cioccolaterie, vinerie e wine bar, internet bar, sushi bar, beer bar…), dalle pasticcerie ai caffè. Il Vocabolario domestico di Giacinto Carena ne aveva precisato la schiettezza tutta toscana del nome, definendola

bottega dove si vende vino a bicchieri, da bersi nel luogo medesimo. E, non che di vino, anche di rosolii, brodi, zuppe, minestre e altre cose da potersi mescere, cioè versare, per esser bevute o mangiate nello stesso luogo. In questo senso Mèscita è diverso da Vendita, che si sostituisce nei cartelli, quando il vino si vende a fiaschi o barili, e le altre volte si danno in maggior quantità, e da portar via (Carena, 1859, p. 178).

Simile alla mescita era la fiaschetteria. Vi si vendeva vino “a terzini” o “a bicchiere” a Pisa e Livorno, “a fiaschi” a Firenze; ma i fiorentini, più che con le fiaschetterie, avevano familiarità con vendite e mescite (o canove) di vino, cantine e vinai (e «se il vino si vende a’ finestrelli de’ palazzi, allora dicono: Il finestrino dell’Albizzi, del Ricasoli, e sim.»: TB, s. v.).

Di molte delle botteghe e dei locali citati, quando nasce, il bar diventa più o meno diretto concorrente. Soprattutto dei vecchi caffè (1696: GRADIT, 2007, s. v.) o botteghe da caffè o caffetterie, luoghi-simbolo di ritrovo per borghesi e intellettuali dell’Italia del Settecento piacevolmente frequentati ancora per tutto l’Ottocento: VILP (1891), s. v., avrà pure avuto i suoi bravi motivi – siamo alla fine del secolo – per permettersi un’espressione come «Star tutto il giorno al caffè». Lamenterà la scomparsa dei caffè, dopo la seconda guerra mondiale, Giovanni Comisso: «Al posto dei vecchi bar bolognesi, oggi vi sono molti bar dove si è obbligati a stare in piedi» (Capricci italiani, Vallecchi, Firenze 1952, p. 189). Dagli anni sessanta, trascorsa l’era del dominio pressoché assoluto dei nomi in -eria, cominceranno a spuntare come i funghi i nomi di locali commerciali modellati sull’antico biblioteca, la madre di tutti i composti in tema (dopo pinacoteca e apoteca, emeroteca e discoteca, forse sostenuto dall’aiuto francese – discothèque, 1928 –, era stata la volta di cineteca, fototeca, cartoteca, nastroteca): enoteca, videoteca, ludoteca, mediateca e i loro numerosi fratelli, comprese le famigerate e contestatissime paninoteche, genitrici di figli legittimi (piadinoteca) e dei beffardi scherzi di natura partoriti, all’inizio degli anni novanta, dal settimanale satirico “Cuore”: da minestroteca a polentoteca, da augurioteca a scarpoteca.

Bibliografia:
– ANNUNZIATA G. (1998), Il ritorno alla libertà. Memoria e Storia de “Il Giornale”: Napoli 1944-1957, Guida, Napoli.
– BISCEGLIA BONOMI I. (1976), Note sulla lingua di alcuni quotidiani milanesi dal 1900 al 1905: l’aspetto lessicale, in “ACME”, XXIX, pp. 73-136.
– CARENA G. (1859), Vocabolario domestico. Prontuario di vocaboli attenenti a cose domestiche, e altre di uso comune per saggio di un vocabolario metodico della lingua italiana, 2 voll, Marghieri-Boutteaux e Aubry, Napoli (4a ed.; 1a ed. 1846).
– DELI (1999) = M. Cortelazzo, P. Zolli, Il nuovo Etimologico. DELI. Dizionario etimologico della lingua italiana, a cura di M. Cortelazzo e M. A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli (2a ed.).
– DM (1908) = A. Panzini, Dizionario moderno. Supplemento ai dizionari italiani […], Hoepli, Milano.
– DM (1942) = A. Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni […], a cura di A. Schiaffini e B. Migliorini, con un’appendice di cinquemila voci e gli elenchi dei forestierismi banditi dalla R. Accademia d’Italia, Hoepli, Milano.
– EISLA-Trecc. (1929-37) = AA. VV., Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, diretta da G. Gentile, 36 voll., Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.
– GRADIT (2007) = Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da T. De Mauro con la collaborazione di G. C. Lepschy e E. Sanguineti, 6 voll., UTET, Torino (3a ed.).
– HEINIMANN S. (1946), Wort- und Bedeutungsentlehnung durch die italienische Tagespresse im ersten Weltkrieg (1914-1919), Droz, Genève-Erlenbach-Zuerich.
– MENARINI A. (1939), L’italo-americano degli Stati Uniti, in “Lingua nostra”, I, pp. 152-60.
– MENARINI A. (1941), A proposito di “bar”, “barista”, in “Lingua nostra”, III, pp. 113-8.
– MONELLI P. (1943), Barbaro dominio. Seicentocinquanta esotismi esaminati, combattuti e banditi dalla lingua con antichi e nuovi argomenti, storia ed etimologia delle parole e aneddoti per svagare il lettore, Hoepli, Milano (2a ed.; 1a ed. 1933).
– PEH (1892-95) = Piccola Enciclopedia Hoepli, diretta da G. Garollo, 2 voll., Hoepli, Milano (1a ed.).
– RIGUTINI G. (1926), I neologismi buoni e cattivi più frequenti nell’uso moderno, con prefazione ed aggiunte di G. Cappuccini, Verdesi, Roma (3a ed.; 1a ed. 1886).
– TB (1861-79) = N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana […] con oltre centomila giunte ai precedenti dizionari […], 4 voll., 7 tomi, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino-Napoli.
– VILP (1891) = G. Rigutini, P. Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, nuovamente compilato da G. Rigutini e accresciuto di molte voci, maniere e significati, Barbèra, Firenze (2a ed.).
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