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  • Mercoledì 11 maggio 2011

Meglio Invalsi che niente

Il parere del responsabile scuola del PD lombardo sui test scolastici tanto discussi

di Marco Campione

Ieri sono state svolte le prove Invalsi tra gli studenti del secondo anno delle superiori: test a risposta chiusa per la valutazione dei livelli di apprendimento. La principale differenza tra la valutazione tramite questi test, uguali su tutto il territorio nazionale e quella che quotidianamente fanno i docenti in classe è che i test standard consentono una comparazione sia “orizzontale” (tra scuole, tra classi, tra territori), che “verticale” (tra i diversi anni nei quali vengono completati). Per chi fosse interessato ad un commento a caldo sulle caratteristiche tecniche dei test svolti ieri, consiglio questo articolo di un Dirigente scolastico di Pescara.

A prescindere dalle loro caratteristiche, i sindacati di base hanno boicottato i test e alcuni studenti hanno fatto lo stesso, consegnandoli in bianco. Della protesta degli studenti c’è poco da dire: una forma come un’altra di mobilitazione e protesta contro un governo che reputano (a mio avviso a ragione, ma è un dettaglio) molto nocivo per la scuola italiana. Molto da dire c’è invece sulla scelta dei docenti. Perché non è solo un atto politico o sindacale (si protesta anche per questioni prettamente sindacali legate al riconoscimento economico per chi somministra e corregge tali prove, questioni sulle quali non voglio entrare). Chi si oppone ai test lo fa principalmente sulla base delle finalità più o meno dichiarate del governo e di argomentazioni legate alla validità scientifica dei test. Su questo credo sia utile riflettere, perché i governi cambiano, ma la scuola e i suoi problemi restano.

Il governo, si dice, vuole utilizzare i test per punire i docenti. Alcuni documenti dei Cobas e di ReteScuole (associazione molto attiva contro i test) parlano di “discriminazione dei docenti” e affermano che “unico e vero scopo dei test è dividere e gerarchizzare gli insegnanti, limitando de facto la loro libertà d’insegnamento e di pensiero”. Personalmente trovo assurda la sovrapposizione tra valutazione e limitazione della libertà di insegnamento ed è insostenibile il rifiuto pregiudiziale di qualsiasi differenziazione, presentata quasi come fosse l’anticamera della barbarie. Deve valere il principio che il lavoro dell’insegnante – pur richiedendo una professionalità complessa i cui risultati dipendono anche da fattori esterni – è comunque valutabile. È tra l’altro paradossale che la valutazione sia interpretata con tale superficialità da un mondo che fa un uso quotidiano di essa per correggere gli errori, per migliorare metodo e qualità dello studio, per stimolare gli studenti a fare meglio e tendere a migliori risultati.

Sbagliato sarebbe affidarsi alle sole prove Invalsi per la valutazione del sistema scolastico. Ed è questa – assieme alla scarsità di fondi dati allo stesso Invalsi – la colpa principale del Ministro: non aver definito un quadro complessivo che deve vedere anche la presenza di altri strumenti di valutazione (un corpo di ispettori che deve essere formato e selezionato con questo scopo, un giudizio dei pari che deve essere considerato e – studiandone le modalità – anche il giudizio dei dirigenti e degli utenti deve contribuire alla valutazione del sistema). Altra cosa assolutamente da chiarire sono le finalità della valutazione. Non deve servire a dare le pagelle ai docenti buoni e a quelli cattivi. Quello che serve è dotare il decisore politico e la comunità scolastica nel suo complesso degli strumenti per un periodico monitoraggio dei risultati, per garantire ai cittadini che le scuole adempiano efficacemente alla funzione cui sono preposte, per identificare eventuali criticità sulle quali intervenire, per selezionare buone pratiche da modellizzare.

Fin qui le proteste del mondo della scuola più sindacalizzato, che – seppur comprensibili, visto il clima di scontro permanente che il governo ha scientemente alimentato – sono senz’altro dannose, in quanto non fanno altro che confermare nell’opinione pubblica diffusa la percezione distorta e quindi errata di quel mondo come conservatore e corporativo, arroccato in difesa e ostile al cambiamento. Alcuni commentatori però hanno sottolineato come i test abbiano controindicazioni specifiche. Penso in particolare a Luca Ricolfi che sulla Stampa di ieri ha elencato argomenti pro e contro e tra questi ultimi due mi sembrano particolarmente significativi:

– “pesano troppo la velocità mentale e troppo poco capacità come ragionamento, astrazione, organizzazione mentale, sensibilità estetica, senso critico”;
– “l’introduzione massiccia dei test produce una gravissima distorsione nel comportamento degli insegnanti”, che si trasformano in allenatori per i test.

Sul primo punto non si può intervenire: è un limite intrinseco dello strumento e quindi bisogna utilizzarne altri per valutare quegli elementi, ma sono strumenti complementari e non alternativi. Sul secondo punto, mi permetto una riflessione-provocazione: siamo sicuri sia un “male”? Il fatto che gli studenti vengano addestrati a passare i test, ovvero lo strumento di valutazione che più spesso incontreranno in futuro, è proprio così sbagliato? Ovviamente non può essere l’unica competenza che la scuola deve fornire loro, ma il fatto che fino a ad ora sia stata quasi completamente ignorata e bistrattata a mio avviso rappresenta comunque una carenza da colmare. E dirò di più: i nuovi docenti dovrebbero essere appositamente formati a trasmettere questo tipo di competenza “contemporanea”. Il rischio dell’approccio di Ricolfi è quello di indurre a pensare che il futuro della scuola sia in un suo ritorno al passato, al disciplinarismo dei bei tempi andati.

Altro è denunciare che si sono persi di vista gli obiettivi che la scuola deve avere e su questo concordo con Ricolfi. In definitiva io credo che l’osservazione più sensata sia quella venuta dalla Sen. Bastico del Pd, già Vice-Ministro della Pubblica Istruzione nell’ultimo governo Prodi: “Le criticità dei test invalsi sono tante, ma possono essere corrette nel futuro. Quello che manca completamente – e spetta al Ministro farlo – è la definizione degli obiettivi di apprendimento, cioè che cosa devono sapere i ragazzi, al termine della scuola elementare, della scuola media, dell’obbligo scolastico. Solo definendo gli obiettivi si può valutare se sono conseguiti oppure no e quanto grande è la distanza dell’obiettivo.”

Da qui bisognerà ripartire quando il centrosinistra governerà nuovamente questo Paese.

Marco Campione è responsabile della Scuola per il Partito Democratico in Lombardia.

foto ©Lapresse