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  • Mercoledì 11 maggio 2011

La Cina ha paura del gelsomino

La Cina ha messo al bando il fiore simbolo della rivoluzione in Tunisia temendo di esserne contagiata

Il gelsomino è uno dei fiori più diffusi in Cina, usato spesso anche per profumare tè, cibi e marmellate e celebrato da una canzone popolare così famosa che alle Olimpiadi di Pechino del 2008 veniva intonata ogni volta che un atleta vinceva una medaglia. Ma da quando è diventato il simbolo della rivoluzione tunisina contro Ben Ali – la Rivoluzione del Gelsomino, appunto – le autorità cinesi hanno iniziato a non vederlo più tanto di buon occhio, e a fare di tutto per toglierlo dalla circolazione.

A partire da febbraio, quando i primi appelli a unirsi alla rivoluzione del gelsomino iniziarono a diffondersi in rete anche in Cina, i caratteri cinesi usati per scrivere la parola gelsomino sono stati ripetutamente bloccati e i video in cui il presidente Hu Jintao cantava “Mo Li Hua” sono stati rimossi dal web. Spaventati dal presunto potere rivoluzionario del fiore, i funzionari del governo cinese hanno deciso anche di cancellare il Festival Internazionale del Gelsomino, che si tiene ogni anno a Hengxian.

I coltivatori di gelsomino sono in grande difficoltà. Il New York Times ha parlato con alcuni di quelli che lavorano nel distretto di Daxing, alla periferia di Pechino. Dicono che i prezzi sono crollati da marzo, quando le autorità hanno bandito la vendita del fiore in una serie di mercati della capitale. «Anche se riuscirò a venderli, perderò comunque dei soldi su ogni pianta», ha detto Zhen Weizhong. E alla domanda del giornalista, che gli chiedeva se sapesse qualcosa della Rivoluzione del Gelsomino, ha risposto: «Non so niente di politica, non ho tempo di guardare la televisione».

Il governo si è rifiutato di dare spiegazioni sui divieti emessi contro il gelsomino, ma molti fiorai hanno raccontato di avere ricevuto diverse visite dalla polizia e ricevuto indicazioni in cui si diceva che vendere il fiore equivaleva a fare contrabbando. Alcuni proprietari delle bancarelle di fiori nel mercato Sunhe Beidong di Pechino hanno anche raccontato di avere partecipato a un incontro organizzato dalla polizia, che li ha messi al corrente del divieto e li ha poi costretti a firmare un documento in cui si impegnavano a non vendere più gelsomini. La polizia li avrebbe anche invitati a denunciare quelli che non avessero rispettato l’ordine.

Soltanto alcuni dei fiorai hanno detto di avere ricevuto qualche spiegazione sui motivi del divieto – che il fiore era diventato un simbolo di ribellione e quindi doveva sparire – ma la maggior parte ne è rimasta totalmente all’oscuro. La costante censura esercitata dal regime sui media e su Internet ha fatto il resto: quasi nessuno in Cina sa che cos’è stata la rivoluzione del gelsomino e perché il fiore è stato messo al bando. E in assenza di informazioni ufficiali, racconta il New York Times, le persone hanno iniziato a motivare il divieto con le spiegazioni più improbabili. Alcuni dicono che il fiore non può più essere venduto per colpa delle radiazioni del Giappone, altri che si è scoperto che è velenoso, altri ancora che viene usato da un movimento spirituale che starebbe cercando di far cadere il Partito Comunista. «Ho sentito dire che gelsomino è la parola in codice usata per rivoluzione», ha detto la proprietaria di una bancarella.