• Mondo
  • Questo articolo ha più di dodici anni

La Cina ha paura del gelsomino

La Cina ha messo al bando il fiore simbolo della rivoluzione in Tunisia temendo di esserne contagiata

Il gelsomino è uno dei fiori più diffusi in Cina, celebrato anche da una famosa canzone popolare

Il gelsomino è uno dei fiori più diffusi in Cina, usato spesso anche per profumare tè, cibi e marmellate e celebrato da una canzone popolare così famosa che alle Olimpiadi di Pechino del 2008 veniva intonata ogni volta che un atleta vinceva una medaglia. Ma da quando è diventato il simbolo della rivoluzione tunisina contro Ben Ali – la Rivoluzione del Gelsomino, appunto – le autorità cinesi hanno iniziato a non vederlo più tanto di buon occhio, e a fare di tutto per toglierlo dalla circolazione.

A partire da febbraio, quando i primi appelli a unirsi alla rivoluzione del gelsomino iniziarono a diffondersi in rete anche in Cina, i caratteri cinesi usati per scrivere la parola gelsomino sono stati ripetutamente bloccati e i video in cui il presidente Hu Jintao cantava “Mo Li Hua” sono stati rimossi dal web. Spaventati dal presunto potere rivoluzionario del fiore, i funzionari del governo cinese hanno deciso anche di cancellare il Festival Internazionale del Gelsomino, che si tiene ogni anno a Hengxian.

Pubblicità

I coltivatori di gelsomino sono in grande difficoltà. Il New York Times ha parlato con alcuni di quelli che lavorano nel distretto di Daxing, alla periferia di Pechino. Dicono che i prezzi sono crollati da marzo, quando le autorità hanno bandito la vendita del fiore in una serie di mercati della capitale. «Anche se riuscirò a venderli, perderò comunque dei soldi su ogni pianta», ha detto Zhen Weizhong. E alla domanda del giornalista, che gli chiedeva se sapesse qualcosa della Rivoluzione del Gelsomino, ha risposto: «Non so niente di politica, non ho tempo di guardare la televisione».

Il governo si è rifiutato di dare spiegazioni sui divieti emessi contro il gelsomino, ma molti fiorai hanno raccontato di avere ricevuto diverse visite dalla polizia e ricevuto indicazioni in cui si diceva che vendere il fiore equivaleva a fare contrabbando. Alcuni proprietari delle bancarelle di fiori nel mercato Sunhe Beidong di Pechino hanno anche raccontato di avere partecipato a un incontro organizzato dalla polizia, che li ha messi al corrente del divieto e li ha poi costretti a firmare un documento in cui si impegnavano a non vendere più gelsomini. La polizia li avrebbe anche invitati a denunciare quelli che non avessero rispettato l’ordine.

Soltanto alcuni dei fiorai hanno detto di avere ricevuto qualche spiegazione sui motivi del divieto – che il fiore era diventato un simbolo di ribellione e quindi doveva sparire – ma la maggior parte ne è rimasta totalmente all’oscuro. La costante censura esercitata dal regime sui media e su Internet ha fatto il resto: quasi nessuno in Cina sa che cos’è stata la rivoluzione del gelsomino e perché il fiore è stato messo al bando. E in assenza di informazioni ufficiali, racconta il New York Times, le persone hanno iniziato a motivare il divieto con le spiegazioni più improbabili. Alcuni dicono che il fiore non può più essere venduto per colpa delle radiazioni del Giappone, altri che si è scoperto che è velenoso, altri ancora che viene usato da un movimento spirituale che starebbe cercando di far cadere il Partito Comunista. «Ho sentito dire che gelsomino è la parola in codice usata per rivoluzione», ha detto la proprietaria di una bancarella.