Causa del suo mal

Nessun paese fondatore dell'Unione Europea prenderebbe gli schiaffi che stiamo prendendo noi, e che questo governo si è cercati

Foto Roberto Monaldo / LaPresse07-04-2011 RomaInterniTrasmissione televisiva "Porta a porta"Nella foto Roberto Maroni (ministro Interno)Photo Roberto Monaldo / LaPresse07-04-2011 RomeTv program "Porta a porta"In the photo Roberto Maroni (Interior minister)
Foto Roberto Monaldo / LaPresse07-04-2011 RomaInterniTrasmissione televisiva "Porta a porta"Nella foto Roberto Maroni (ministro Interno)Photo Roberto Monaldo / LaPresse07-04-2011 RomeTv program "Porta a porta"In the photo Roberto Maroni (Interior minister)

Che sull’immigrazione in Italia l’Unione Europea stia venendo meno ai suoi doveri o almeno a una complice disponibilità nei confronti dei problemi di uno stato membro, è argomento di discussione, e anche interessante. Altre situazioni in cui i paesi dell’Europa si sono intesi per aiutarne uno – vedi le vicende economiche di Irlanda e Grecia, e prossimamente Portogallo – rappresentavano un pericolo per tutti in cui la cosa più saggia era proteggere se stessi facendo fronte comune nei confronti di un rischio. Questo non è il caso di cui si sta parlando adesso: l’incapacità dell’Italia di gestire l’immigrazione non è un problema che riguardi gli altri singoli paesi europei, che comunque finiranno per ricevere e ospitare molte delle persone che oggi entrano in Italia dal Nordafrica.

Naturalmente c’è anche un’altra logica, meno egoista, che si può applicare alle relazioni tra gli stati membri: che esista un’alleanza e una solidarietà rispetto a gravi difficoltà di uno di essi, e che l’Europa sia qualcosa di più di un accordo diplomatico ed economico. Vedendo l’Italia travolta da un’emergenza che la mette in ginocchio o a cui sembra non essere in grado di fare fronte, gli altri paesi europei dovrebbero essere spinti da quell’idea di Europa a mostrarsi generosi e collaborativi, prendendo persino loro stessi delle iniziative in questo senso. Ma è questo il caso?

Non lo è, per due ragioni. La prima, valida per tutti, è che l’Italia non è travolta da un’emergenza che la mette in ginocchio o a cui sembra non essere in grado di fare fronte. «23 mila profughi non sono un problema», ha detto ieri il ministro dell’Interno tedesco, sintetizzando quello che avevano suggerito in molti in queste settimane sul senso della misura nei confronti del problema. E fa molto bene il direttore della Stampa Mario Calabresi oggi a ricordare che “22 mila tunisini sono tanti e non sono un fenomeno tranquillizzante, ma anche i 220 mila che dalla Libia sono entrati in Tunisia non devono essere una cosa semplice da gestire” e che invece

“nessuno dei partner europei si preoccupò di intervenire in aiuto della Germania o dell’Austria quando dopo il crollo del Muro di Berlino vennero invase di polacchi e cechi la prima e di ungheresi e slovacchi la seconda”.

E non bastassero i molti pareri e argomenti in questo senso, ricordamoci solo dell’approccio toscano all’ospitalità dei profughi, distribuiti su molte strutture del territorio rifiutando campi e concentramenti pericolosi per tutti e facendosi carico di un problema – che è un problema, per una regione – con l’ambizione di risolverlo e superarlo invece che di rifiutarlo, esaltarlo e moltiplicarne le conseguenze pericolose.

La seconda ragione per cui i capricci di Maroni di ieri – le minacce di uscire dall’Unione Europea, guarda caso non prese sul serio da nessuno – sono irricevibili è che la mancanza di maggiore disponibilità e indulgenze da parte dell’Europa è figlia diretta della mancanza di credibilità e serietà dell’Italia e del suo governo. Nessun altro dei paesi fondatori si è mai trovato in una simile posizione di umiliazione da parte dei suoi alleati principali, nessuno si è mai azzardato a minacciare di uscire, nessuno sarebbe mai ignorato in una simile protesta. Riferire l’unanime distanza dei paesi europei dalle nostre pretese a un grande complotto o a identici vili egoismi è sciocco e superficiale: se non ci appoggia nessuno, meglio cominciare a pensare che quelli contromano in autostrada siamo noi.

Come scrive stamattina Antonio Polito sul Corriere della Sera “siamo sempre stati un peso leggero, il più piccolo dei Grandi e il più grande dei Piccoli”: Polito spiega però che supplimmo a lungo al nostro scarso peso conquistato sul campo “con la patente di europeisti entusiasti”. Poi, coi governi Berlusconi l’Italia ha deciso per un altro approccio.

Arriva al potere in Italia per la prima volta una classe politica di centrodestra che è convinta di poter meglio servire gli interessi dell’Italia se fa meno salamelecchi all’Europa. Del resto, stressati da Maastricht e dalla crisi, anche i Grandi si stanno stufando della disciplina imposta da Bruxelles, e il momento sembra favorevole per un ridimensionamento delle istituzioni comuni e un ritorno alle politiche nazionali degli Stati, all’esercizio della loro sovranità senza limiti. Roma si lancia su questa nuova strada.

Oggi, come dice Polito, un’Europa di maggiori egoismi e interessi nazionali ha prevalso: i governi Berlusconi hanno incentivato questo percorso e oggi non possono lamentarsene vittime. Né possono, in alternativa, battere i pugni: non hanno i pugni, la rispettabilità dell’Italia all’estero – dietro una giusta finzione pubblica di strette di mano, dichiarazioni di amicizia e sorrisi – è spappolata dalla mancanza di credibilità del PresdelCons e dei suoi ministri, Maroni compreso. Le cui manifestazioni di ieri possono anche essere definite “stupidaggini” (Giorgio La Malfa) o “propaganda a uso interno” (Sorgi), solo per citare due dei severi commenti sui giornali di oggi.

Ma anche uscendo dall’autostrada prima di essersi schiantati contro quelli nel senso corretto, fuori dal casello sempre gli immigrati e i profughi troviamo: sarà meglio smettere di piagnucolare della propria sventatezza e comportarsi da governo del fare, a esserne capaci.