Le molecole che fummo

I nostri più antichi antenati vivevano in acque calde e acide: lo dimostrano i loro enzimi,“risorti” grazie alla bioinformatica

di Massimo Sandal

In un laboratorio ad Atlanta degli scienziati stanno studiando delle molecole batteriche. Non sono però molecole qualsiasi: hanno da uno a quattro miliardi (sì: miliardi) di anni. Sono le proteine dei nostri più antichi progenitori, che vivevano su una Terra giovanissima. Non a caso sono adatte a un ambiente ben diverso dal nostro: acque dalle temperature di quasi 50 gradi e 100 volte più acide di quelle attuali.

Nessuno scenario alla Jurassic Park, nessuna macchina del tempo e nessun miracolo della Madonna che faccia risorgere batteri fossili. In effetti, le proteine sono state ricostruite artificialmente dalla dottoranda Zi-Ming Zao e altri ricercatori del team del professor Eric Gaucher, al Georgia Institute of Technology, grazie a un’ingegnosa tecnica bioinformatica nota come ancestral sequence reconstruction: ricostruzione di sequenze ancestrali. Lo studio è stato pubblicato online da Nature Structural & Molecular Biology pochi giorni fa.

Per capire come funziona il metodo: immaginiamo di non sapere il latino, ma di avere davanti a noi dei vocabolari di varie lingue e dialetti moderni. Non ci vorrebbe molto a capire che alcune lingue sono molto vicine fra loro: e confrontando, ad esempio, l’italiano dire con lo spagnolo decir , il portoghese dizer e il siciliano diciri potremmo arrivare a ipotizzare che il progenitore comune del verbo “dire” era qualcosa del tipo dicere – che infatti era il verbo latino.

Lo stesso – con un po’ più di rigore e con l’ausilio di raffinati algoritmi – è possibile in alcuni casi per le sequenze di proteine e DNA. Questo è quello che hanno fatto Zao, Gaucher e colleghi. Confrontando tra loro le sequenze di una proteina – l’enzima tioredossina, comune a quasi tutti gli organismi viventi – per 200 organismi diversi è stato possibile ricostruirne l’albero genealogico e le sequenza del gene per tutti i vari antenati. Ovviamente si tratta di ricostruzioni in qualche modo ipotetiche (non possiamo andare indietro nel tempo e prelevare il DNA di batteri primordiali per confrontare) ma grazie a modelli matematici possiamo calcolare piuttosto bene la probabilità che siano corrette.

Il passo successivo è stato di passare dalle sequenze sul computer alle proteine reali, sintetizzando artificialmente le proteine ricostruite dei vari antenati. A questo punto la palla è stata passata a Raul Perez-Jimenez e altri ricercatori del gruppo di Julio Fernandez, a New York, che si è occupato di studiare le proprietà degli enzimi ancestrali. La prima cosa che hanno fatto è vedere la tolleranza delle proteine al calore. Hanno così trovato che le proteine ancestrali resistono a temperature più alte rispetto agli enzimi degli organismi moderni. Non solo: questa differenza di temperatura aumenta man mano che si va (virtualmente) indietro nel tempo. Le proteine più antiche, quelle corrispondenti all’antenato di tutti i batteri, per esempio, resistono a temperature dai 25 ai 32 gradi più alte rispetto a quelle moderne. Questo dato concorda con un altro studio fatto su altre proteine ancestrali ricostruite, pubblicato da Gaucher già nel 2003.

Il team ha poi investigato in dettaglio funzionamento degli enzimi ancestrali. Per questo hanno arruolato una tecnica molto particolare, detta spettroscopia di forza. Questa tecnica permette di studiare singole molecole di proteine letteralmente una per una, “catturandole” e manipolandole, permettendo di comprenderne i meccanismi con un dettaglio inarrivabile per le normali tecnologie biochimiche. Hanno così scoperto che gli enzimi ancestrali funzionavano già con lo stesso raffinato meccanismo di quelli attuali, ma funzionano altrettanto bene se non meglio in soluzioni acide (a pH 5).

Lo studio del team Gaucher-Fernandez conferma quello che numerosi biologi avevano da tempo sospettato, ovvero che i più antichi antenati della vita sulla Terra siano stati batteri cosiddetti estremofili, con una biochimica raffinata e adatta a temperature molto alte e condizioni chimiche estreme. È possibile che  queste condizioni fossero presenti all’epoca su tutto il pianeta. Un’altra ipotesi invece è che gli organismi moderni derivino per qualche motivo da un piccolo sottoinsieme di organismi che vivevano in ambienti peculiari, capaci di sopravvivere alle catastrofi che hanno tormentato la Terra primitiva (come bombardamenti di meteoriti o glaciazioni globali). Il messaggio che ci lascia Gaucher, nel comunicato stampa con cui hanno annunciato l’articolo, è ottimista – a suo modo:

«I nostri risultati confermano che la vita ha un’abilità sorprendente di adattarsi a una vasta gamma di condizioni ambientali -e, per estensione, la vita si adatterà senza dubbio ai cambiamenti ambientali futuri. Anche se questo potrebbe costare caro a molte specie.»