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  • Mercoledì 23 marzo 2011

La social TV sta arrivando

Guardare la tele tutti assieme sui social network: oggi ne parla anche la BBC

SEOUL, SOUTH KOREA: A young boy sits watching a locally-made TV as he waits for his parents to choose a set, in a department store in Seoul 22 September 1999. The boy's parents said they would give the set to the child's grandparnts as a gift to mark the Moon Festival. AFP PHOTO (Photo credit should read CHOO YOUN-KONG/AFP/Getty Images)
SEOUL, SOUTH KOREA: A young boy sits watching a locally-made TV as he waits for his parents to choose a set, in a department store in Seoul 22 September 1999. The boy's parents said they would give the set to the child's grandparnts as a gift to mark the Moon Festival. AFP PHOTO (Photo credit should read CHOO YOUN-KONG/AFP/Getty Images)

Sono ormai diverse settimane che riscuotono un crescente successo le serate “Social TV” organizzate dal Post per seguire i talkshow di attualità (Ballarò e Annozero, qualche volta l’Infedele) o altri programmi (Milan-Napoli, Vieni via con me). Di cosa si tratti lo spieghiamo di nuovo con quello che scrisse due anni fa Luca Sofri (il peraltro direttore del Post) su Vanity Fair, spiegando il nascere della nuova abitudine di visione televisiva.

La storia del guardare la televisione tutti insieme è ormai lunga: si trattasse di quelle persone che si vedono nei film americani assiepate davanti alle vetrine dei negozi di elettrodomestici, o della riunione familiare del giovedì per vedere Rischiatutto. Per non parlare delle partite e della serata di visione di gruppo per antonomasia, quella di Sanremo. Tutte occasioni in cui non solo si condivide il godimento dello spettacolo, ma diventano parte dello spettacolo i commenti, discussioni, battute, tartine. In questo millennio la visione collettiva – il gruppo d’ascolto – aveva conosciuto un rilancio con le prime stagioni del Grande Fratello, ma ultimamente si è evoluta in qualcos’altro grazie alle nuove tecnologie. Qualche anno fa Gianluca Neri, blogger e grande trafficante di internet, ha lanciato una radio online il cui programma più seguito è costituito da lui e i suoi molti amici che seguono e commentano in diretta le puntate dei reality e simili: dal GF a X-Factor. Ultimamente sta invece diventando una consuetudine diffusa la visione solitaria delle serate televisive – siano Annozero, Ballarò o Porta a porta – ma commentata simultameamente su FriendFeed, un social network che permette grandi conversazioni di gruppo in diretta. Di fatto, è l’evoluzione della visione passiva della tv ai tempi del multitasking. La penultima puntata di Annozero ha raccolto 982 commenti in un solo gruppo: praticamente uno ogni dieci secondi. E la tv è molto più divertente.

Da allora sul tema della social tv ci sono state delle novità. L’anno scorso Twitter ha annunciato una applicazione da usare insieme al progetto televisivo di Google, la “Google TV”. Poi se ne è cominciato a parlare sui media internazionali, come Time, mentre l’abitudine si diffondeva più estesamente (in Italia la prima puntata delle Invasioni Barbariche di quest’anno ha organizzato una diretta su Facebook). Oggi ne scrive il sito della BBC: “Twittando con la tv accesa”.

Racconta l’articolo che uno studio dell’agenzia di marketing Digital Clarity mostra che l’80% degli under 25 usano il computer o il cellulare per comunicare con gli amici mentre guardano la televisione, e il 72% usa programmi come Twitter o Facebook per commentare quello che sta vedendo. I produttori televisivi lo sanno e iniziano a sperimentare forme di integrazione tra i social network e la programmazione. In Nuova Zelanda, la rete TVNZ ha appena lanciato un canale per i giovani intorno allo show U live, che prevede chat e commenti via Facebook che diventano parte integrante del programma. Gli utenti vedono in televisione la loro immagine del profilo e partecipano a sondaggi in tempo reale.

Twitter ha subito cercato di mostrarsi il mezzo ideale per l’interazione tra spettatori e TV, anche se dare la possibilità ai dirigenti TV di accedere alle discussioni, per guidarle e moderarle, potrebbe non incontrare il gradimento degli utenti. Ma la società si dice sicura che sono gli utenti stessi a chiedere qualche forma di social TV, dato che il servizio registrerebbe grandi picchi di utilizzo quando sono in onda soap opera, eventi sportivi e reality show:

Appena va in onda un nuovo episodio di una serie o iniziano gli Oscar o una partita, i tweet al minuto schizzano alle stelle e li vediamo moltiplicarsi per dieci, venti o cinquanta, e restano allo stesso livello fino alla fine dell’evento. “It’s remarkable because the Twitter conversation will be going along a few tweets here and there and as soon as a new episode premieres or the Oscars start or a game kicks off, the tweets per minute skyrocket and we see it multiply 10, 20, 50 times and it stays like this until the show ends. La gente ama parlare delle cose che stanno succedendo, che è in qualche modo controintuitivo perché si parla un sacco di time shifting e prodotti on-demand.

Già oggi i tweet sponsorizzati, che permettono alle aziende di pagare per incentivare i commenti sui loro messaggi, sono una delle maggiori entrate per Twitter. Alcuni siti come il Washington Post e Al Jazeera stanno già utilizzando i tweet sponsorizzati per promuovere le notizie e la loro copertura degli eventi: Twitter sta diventando sempre di più uno strumento per le notizie in tempo reale anche dagli stessi addetti ai lavori. Molte cose restano ancora da capire da parte di Twitter, delle reti televisive e degli stessi utenti, come dice Jonathan Doran, analista di Ovum:

La social TV è presentata come una delle novità più importanti in vista, ma in realtà la gente sta ancora cercando di capire cosa farsene. Finora c’è stata poca interazione con il contenuto e non abbiamo visto molta fusione tra la TV e i social media.

Doran sostiene anche che non ci siano molte possibilità, da parte di Twitter, per monetizzare l’unione con la TV. Altri sono di diverso avviso e immaginano piattaforme in cui gli utenti possono parlare dei loro programmi preferiti, mentre le aziende utilizzano forme di pubblicità più personalizzate e simili al product placement.
Anche sui media mainstream italiani se ne comincia a parlare, comunque: Antonio Dipollina ne ha scritto su D di Repubblica la scorsa settimana.

E allora quello che per i fanatici del web sarà già un’anticaglia (abbiate pazienza, noi della massa ci muoviamo lenti) diventa accattivante. Il “Liveblogging”. Significa che tieni il televisore acceso e, accanto o sulle ginocchia, hai il computer, e in un posto apposito ti metti a commentare in diretta con altri quello che sta succedendo a Ballarò o Annozero. è una perversione, ovvio, forse è addirittura realtà aumentata (brividi sulla schiena). Lo fanno in diversi luoghi – da qualche settimana il must è sul Post di Luca Sofri – prima o poi si adatteranno anche i colossi del web. La cosa migliore è che puoi leggere senza partecipare. Dopo un po’ diventi addicted.