Un anno buttato
Che bilancio possiamo fare della storia politica di questo 2010 e su chi l'ha avuta in mano?
Questo non è un editoriale. È una proposta di fermarsi un attimo e formulare un pensiero, cosa a cui ci sottrae spesso la nostra sempre crescente inclinazione a esporli i pensieri, prima ancora che si siano formati e articolati in modo un po’ solido. In questo caso il pensiero è una riflessione su come sia andato quest’anno per la politica italiana e quindi per l’Italia in generale: posto che l’Italia in generale è fatta (per fortuna, bisogna dire) di molte altre cose che le capitano e che capitano a tutti noi, che con la politica politicata non hanno a che fare.
La tesi in discussione, su cui appunto formulare dei pensieri e discutere, è la seguente: che quest’anno sia stato buttato via, da tutta la classe dirigente della politica italiana, in modi diversi. Che sia stato buttato via da un governo che ha combinato pochissimo, che si è vantato di aver combinato alcune cose in realtà appena abbozzate, perché arrestare alcuni boss mafiosi o contenere la spesa pubblica sono eventualmente risultati totalmente inadeguati rispetto alla dimensione dei problemi, molto meno del minimo richiesto a un governo forte in tempi difficili. Questo è un governo che ha una maggioranza di ministeri dei quali gli italiani non conoscono un solo atto rilevante: un governo che non è capace, alla fine dell’anno, di consegnare ai bilanci niente che faccia più notizia della scissione nella sua maggioranza. Per tacere delle indiscutibili assenze di dignità del ruolo, percezione dei tempi, senso di responsabilità e qualità di governo dei suoi membri, perché qui parliamo di come è andato l’anno non di come vanno le cose su più ampi e famigerati scenari.
La tesi è che sia stato buttato via anche da una maggioranza parlamentare che si è consegnata all’irrilevanza e ha diviso i suoi impegni – salvo rare eccezioni – tra il votare quando c’era da votare e cercare di elemosinare visibilità mediatiche personali senza costruire nessun modello etico, politico, culturale che legittimasse l’ampia vittoria elettorale. Che sia stato buttato via da un’opposizione la cui opposizione non è cresciuta, non si è evoluta, non si è adattata, di un solo centimetro durante tutto l’anno. Si trova oggi con le stesse idee, gli stessi progetti, le stesse posizioni in cui si trovava a gennaio: non le è cresciuto dentro niente che l’abbia portata a guadagnare più convincenti visioni per il futuro o maggiori consensi nel paese. La più drammatica dimostrazione di quanto sia inerme sta nei credibili sondaggi (sono opinioni diffuse, peraltro) che la danno esattamente agli stessi numeri dopo due anni di scandali e fallimenti che hanno colpito il governo, con la credibile e teatrale ipotesi che Silvio Berlusconi rivinca le elezioni se si andrà a votare, malgrado tutto.
La tesi è che sia stato buttato via dagli attori più piccoli del dibattito politico parlamentare, impegnati ognuno a suo modo a conservare solo con scelte demagogiche e retoriche lo spazio guadagnato: sono molti, sono stati ognuno a suo modo irrilevanti per tutto l’anno. Se il maggiore partito di opposizione, pur non avendo fatto niente per diventare partito di maggioranza, un’opposizione di qualche concretezza l’ha fatta, tutti gli altri avrebbero nei fatti potuto benissimo non esistere, senza alcun cambiamento in quel che è avvenuto e non è avvenuto in Italia quest’anno.
Infine, che sia stato buttato via anche dall’unica forza a cui va riconosciuto un percorso e la costruzione di qualcosa, in questo 2010: è indubbio che la nascita di Futuro e Libertà costituisca la notizia politica dell’anno, è indubbio che abbia cambiato lo scenario, è indubbio che annunci prospettive più promettenti per il centrodestra italiano, è indubbio che sia stata un’iniziativa coraggiosa e apprezzabile (quali erano state le creazioni dei due grandi partiti di centrodestra e centrosinistra negli anni scorsi, con i diversi esiti che vediamo). Ma è anche indubbio che questa iniziativa sia stata lenta, zoppicante, senza un progetto ragionato né le forze per sostenerlo, e poco convincente nella sostanza al di là dell’ottimo lavoro di comunicazione. È cominciata alla fine di aprile, nei giorni in cui nasceva il Post, si ritrova otto mesi dopo con una sconfitta sul campo e otto mesi di politica nazionale ostaggio delle sue lente mosse. E ancora non è finita.
Questa la tesi di dibattito, come vedete piuttosto severa (anche per farci carico di noi delle considerazioni più ovvie e facili): ma è un’ipotesi, e deliberatamente non affronta il tema del futuro – che potrà essere migliore delle premesse – né quello di come altre cose buone siano successe altrove e a ognuno di noi, e certe promettenti. Com’è andato quest’anno per la politica italiana? È cresciuto qualcosa?