Il mio primo oroscopo

Rob Brezsny racconta com'è nato l'unico oroscopo che si può leggere senza sentirsi scemi: quello di Internazionale

Rob Brezsny è l’autore dell’apprezzato oroscopo di Internazionale. Sul numero in edicola da oggi racconta com’è che a un certo punto si è messo a scrivere oroscopi.

Dove: nella toilette di un ristorante della catena Roy Rogers a Chapel Hill, in North Carolina. Quando: tanto tempo fa. Personaggio principale: un ragazzo bianco alto e magro con i capelli lunghi fino alle spalle.

Quel ragazzo ero io. Usando le dita come pettine, stavo facendo del mio meglio per dare una forma più decorosa alla mia massa di capelli scompigliati. Qualche minuto dopo dovevo incontrare la mia ragazza, Babushka, al banco delle insalate e volevo sembrare un selvaggio attraente, non un tipo trasan­dato.

Mentre stavo per completare quel tentativo rudimentale di migliorare il mio aspetto, mi cadde l’occhio sulla parete sotto il distributore di salviette di carta e vidi una scritta affascinante. “Sono stato Santa Cruzifisso e ho Californicato”, diceva, “e mi sembrava di essere in paradiso”.

Fui percorso da una scarica di energia kundalini. Ero abituato a cavalcare le onde della sincronicità, collezionare coincidenze significative era il mio hobby. Ma quello scarabocchio sul muro era un’onda di sincronicità straordinaria. Quel giorno, io e Babushka ci eravamo dati appuntamento per discutere la possibilità di saltare insieme su un Greyhound e andare in un posto che era il sogno di tutti gli aspiranti artisti: Santa Cruz, in California.

Mi sforzai di leggere quello che c’era scritto in piccolo sotto il messaggio. “Sai benissimo che non diventerai mai l’artista che eri destinato a essere”, diceva, “fino a quando non verrai a vivere a Santa Cruz”.

Mi venne la pelle d’oca e sentii un brivido lungo la schiena. Chiunque fosse, lo strano angelo che aveva scarabocchiato quelle parole sembrava averle pescate direttamente dal mio subconscio. L’idea che esprimevano corrispondeva esattamente alle mie speranze e alle mie paure. Ormai mi ero rassegnato al fatto che il mio desiderio di diventare un poeta e un musicista capace di ispirare la comunità era destinato a rimanere cronicamente frustrato finché avessi continuato a vivere nel profondo sud, seppure in una città universitaria come Chapel Hill. Lì non sarei mai stato nient’altro che uno sciroccato, un incrocio tra lo scemo del villaggio e un fenomeno da baraccone vagamente divertente.

In quel momento si decise il mio destino.

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