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Facciamocene una ragione, un governo "tecnico" temporaneo è l'unica soluzione

Gli elementi essenziali sono tre, per non riattaccare tutta la litania dei disastri nazionali che ci deprime ogni volta che la facciamo e che la leggiamo (è pure una giornata umida e grigia): l’Italia è in gravissime condizioni, sul piano economico, politico, sociale e culturale. Come mai nel dopoguerra; non siamo mai stati così lontani dalla modernità e dalla civiltà degli altri grandi paesi occidentali, al cui gruppo restiamo attaccati solo per una situazione economica che per vari accidenti non è ancora tra le più fragili in Europa.

Secondo elemento, forse più preoccupante: non si vede nessuna prospettiva di progresso in nessuno di questi contesti. Il governo, dopo aver esautorato il parlamento delle sue funzioni, è bloccato da alcuni mesi sulle ipotesi di crisi e sui disastri che riguardano il PresdelCons – siano essi le tensioni con i finiani o le telefonate in questura o altro – trovando solo il tempo di occuparsi di eventuali leggi ad personam sulla giustizia, peraltro fallimentarmente. Le sue impresentabilità – nella scelta delle persone, nei metodi, nelle politiche – non hanno più nessun alibi di concretezza e “del fare”.

Terzo elemento, una delle ragioni che hanno favorito questo stato di cose e l’aggravante dell’insofferenza pubblica per rappresentanti che non sono stati scelti, è la legge elettorale scellerata (per usare un termine più dignitoso con “cell”) che nessuna persona perbene vorrebbe vedere più applicata. Non si può auspicare il voto in queste condizioni formali.

C’è poi un quarto elemento, che non vorremmo affrontare alla vigilia del giorno dei morti, e che però si presenterà: non esiste al momento in Italia un’opposizione degna di questo nome e capace di diventare rapidamente forza di governo credibile. Il disastro italiano ha per complici tutte le forze politiche (e parecchi italiani) che non hanno saputo costruire niente che facesse venire agli elettori un barlume di voglia di votarlo. Guardando cosa sta succedendo a Napoli ci si chiede se i napoletani possano ancora lucidamente votare per chi non li ha sottratti a questo casino: ovvero tutti. La stessa cosa vale per l’Italia: per quanto si veda come ineludibile la sostituzione di Berlusconi, della sua gestione e delle sue scelte (non tutte, quasi tutte) nella classe dirigente di questo paese, è difficile trovare in giro qualcosa o qualcuno di desiderabile che lo sostituisca e che abbia le chances di essere legittimato democraticamente (“mio cugino è bravo”, non vale). Al Post guardiamo con curiosità e speranza l’appuntamento fiorentino indetto da Matteo Renzi e Pippo Civati, ma ci vorranno molto lavoro e molte altre forze.

Poche cose sono deprimenti e demotivanti come la prospettiva di un “governo tecnico”: la serata televisiva del sabato, forse, o il brodino dell’ospedale. Ma bisogna farsene una ragione: in ospedale a volte ci si finisce. Non c’è luce in fondo al tunnel, e se c’è è l’autogrill di Roncobilaccio. Non arriverà nessuno a salvarci, non nelle prossime ore, non nei prossimi giorni, non nei prossimi mesi. Perché arrivi qualcuno nei prossimi anni bisogna lavorarci ora, trovando nel proprio lavoro gli stimoli e le motivazioni, e salvare il salvabile. Che le forze politiche equilibrate e di buona volontà, se ci sono, si accordino per licenziare questo governo e creare un esecutivo che non solo riscriva la legge elettorale, ma affronti anche le altre priorità di una ricostruzione. Che non ci mandi a votare tra tre mesi (per carità, voi ne avreste voglia?), ma nemmeno tra tre anni. A Bologna, dove disastri ne sono stati fatti, è arrivato un commissario che ora tutti vorrebbero restasse ancora un po’, anche se sanno che non è così che si risolvono i problemi. Al Post siamo fermamente contrari alla logica dell’emergenza, abusata in Italia e nel nome della quale sono stati fatti disastri: ma qui non si parla di deroghe o violazioni, solo di una pezza costituzionalmente prevista.

Bleah, già. Avevamo sognato altro, per il nostro futuro. Ma sarà meglio di tutto questo – a meno che non vogliamo dimostrare che alla fine è questo quello che vogliamo – e un primo passo. Sul seguito, facciamo tutti la nostra parte.