Le legislature dei parlamentari del PD

Se fosse applicato il limite dei tre mandati imposto dallo Statuto, si libererebbero parecchi posti eccellenti

Da qualche settimana viene promosso dentro il Partito Democratico un dibattito sul limite dei tre mandati per i parlamentari eletti col partito, imposto dallo Statuto all’articolo 22 ma non rispettato. Alla vigilia della recente Assemblea Nazionale dove hanno portato il tema all’attenzione dei delegati, ne hanno scritto diffusamente tra gli altri Paolo Cosseddu e Pippo Civati:

«Non è ricandidabile da parte del Partito Democratico per la carica di componente del Parlamento nazionale ed europeo chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati».
(Statuto del Partito Democratico, Articolo 22 – comma 2)
Il nostro Statuto rappresenta per il Partito Democratico ciò che la Costituzione è per il Paese: un documento fondativo che è stato scritto e sottoscritto da tutti noi con lo scopo di racchiudere i nostri valori e garantire regole democratiche valide per ogni suo iscritto. Per questo, di fronte agli scenari incerti che si sono aperti in questi mesi, Costituzione e Statuto rappresentano le uniche due possibili bussole in grado di orientare l’attività del Pd, la prima nei confronti del Paese e la seconda al suo interno. E’ quindi con grande sconcerto che assistiamo al ripetersi di divisioni e personalismi i quali, nel migliore dei casi, piegano le regole a seconda delle convenienze, ma più spesso le ignorano del tutto. Sentendo le tesi che animano il dibattito viene da chiedersi: il rispetto per lo Statuto vale soltanto per alcuni articoli (vedi la questione del Segretario come solo possibile candidato premier) o per tutti?
Quello stesso Statuto dice anche, infatti, che «non è ricandidabile da parte del Partito Democratico per la carica di componente del Parlamento nazionale ed europeo chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati»(articolo 22, comma 2). La presenza di questo concetto nel nostro documento fondativo non è casuale, serve a garantire il ricambio delle classi dirigenti e se venisse ignorato non farebbe che delegittimare il partito stesso e le sue regole. Invece, fino a questo momento, il Partito Democratico è sembrato esser fatto più di deroghe che di regole, ed è per questo che non sono più giustificabili le troppe eccezioni ad personam, né è proponibile la scappatoia per cui i mandati – che debbono essere tre in tutto, e non tre per ogni carica a cui si accede – andrebbero contati a partire dall’anno di fondazione del Pd.

L’applicazione dell’articolo dello Statuto è stata finora elusa dal Partito Democratico, o con argomenti logicamente implausibili – “tre mandati sono quindici anni”, dice arditamente qualcuno – o con la semplice indifferenza o con il ricorso alla validità di alcune deroghe previste dallo Statuto e interpretate in forma assai estensiva. Così, qualcuno si è messo a fare i conti di quanti siano i parlamentari del PD in condizioni di violazione dello Statuto. Il blog Metilparaben ha esaminato i margini di deroga previsti e aiutandosi con i conti fatti dal PD Nuovo percorso di Padova sono arrivati a uno schema illuminante.


Si tratta di 43 deputati del PD su 206, e di 35 Senatori su 112.

Sulle deroghe concesse Metilparaben scrive:

Se alle prossime Elezioni politiche il Partito democratico osservasse le Regole che si è formalmente dato, i Parlamentari qui sopra potrebbero essere ricandidati “in deroga” alle seguenti condizioni:

– nel numero massimo di 33 dei 78 (il 10% dei 325 che sono stati eletti alla scorsa tornata elettorale);
– previa presentazione di personale richiesta all’Assemblea nazionale del Pd;
– l’Assemblea nazionale deve avanzare proposta motivata al Coordinamento nazionale;
– il Coordinamento nazionale deve approvare a maggioranza assoluta le deroghe richieste;
– gli ammessi alla deroga devono essere personalità di assoluto valore e da qualche parte deve spuntare un documento che lo spieghi per bene, perchè la deroga può essere concessa solo su queste basi (“una relazione che evidenzi in maniera analitica il contributo fondamentale che, in virtù dall’esperienza politico‐istituzionale, delle competenze e della capacità di lavoro, il soggetto per il quale viene richiesta la deroga potrà dare nel successivo mandato”).

E l’ulteriore bizzarra condizione di fatto è che molti dei parlamentari le cui richieste di deroga dovrebbero essere vagliate dal Coordinamento Nazionale sono a loro volta membri del Coordinamento Nazionale, e giudicherebbero se stessi.