Internet vista dal cielo

Il direttore di Wired Riccardo Luna vola a New York per concludere la campagna per il Nobel alla Rete

di Riccardo Luna

In volo per New York. Tra poche ore sarò al Paley Center, l’ex museo della radio e della tv, sarò sul palco del loro teatro più importante per dire ancora una volta Internet for Peace. Perché Internet merita il Nobel della Pace. E per dire grazie, ma grazie davvero, a tutti quelli che mi hanno sostenuto, a quelli che ci hanno creduto, a quelli che ne hanno comunque parlato. Qualche istante fa, cercando sul telefonino le foto dei miei figli, mi sono ripassati davanti gli ultimi dodici mesi.

Settembre 2009, la barca che mi porta al Lido di Venezia dove incontrerò per la prima volta Shirin Ebadi si chiama Carlotta, come mia figlia. Due mesi dopo, Paolo Iabichino e Maria Grazia Mattei (a loro un grazie speciale), seduti per terra al Piccolo Teatro di Milano dove di lì a poco avremmo lanciato la campagna. Febbraio, il cielo gelato dall’aereo che mi porta ad Oslo dove avrei cercato di capire come far diventare la nostra campagna una candidatura.

Mi accorgo solo ora che non ho una foto del discorso che Negroponte venne a fare a Roma a gennaio quando accettò di diventare un ambasciatore della campagna. E della storica visita di Lawrence Lessig alla Camera dei deputati (un altro grazie: a Salvo Mizzi), quando il presidente Fini lesse parola per parola il nostro manifesto. E di quel giorno di aprile quando dalla Triennale di Milano ci collegammo a lungo al telefono con Yoani Sànchez che dall’Avana disse con noi Internet for Peace.

Yoani, appunto. Martedì fisicamente non ci sarà: lo ha saputo venerdì alle 2 del pomeriggio, quando per l’ennesima volta è andata all’ufficio permessi e le hanno detto: ripassi fra una settimana. Pazienza. Se non si arrende lei, che sta lì, non possiamo farlo noi. A New York leggerò una sua bellissima lettera che dice a un certo punto che grazie a Internet “el mundo es mas hermanado”. Come lo traduco “hermanado” in inglese?

Ci sarà invece Shirin Ebadi. E’ una donna monumentale. Leggo su Repubblica una sua intervista da Bruxelles in cui annuncia l’ennesima mobilitazione per fermare le altre lapidazioni dopo quella di Sakineh. Lei, Shirin, non si ferma mai. E sono profondamente onorato che una persona del suo valore, che dedica ogni istante della sua vita a difendere i diritti dei più deboli, sia stata al nostro fianco il 21 novembre quando tutto è iniziato, e martedì a New York, quando chiuderemo simbolicamente la campagna per affidare questa idea a tutti – “Internet, la prima arma di costruzione di massa”. A ribadire questo concetto, ci sarà, ancora una volta un uomo che rappresenta il senso di Internet forse più di chiunque altro: Nicholas Negroponte. Mi ha chiesto di fare l’opening speech e io – suo vecchio fan – non vedo l’ora di ascoltarlo.

Non so esattamente cosa accadrà martedì: abbiamo un’ora di tempo e un sacco di cose da dire e da far vedere. Alla scaletta ci penserò appena atterro. Mentre le parole giuste, come sempre, aspetterò che mi vengano in soccorso lì, sul palco del Paley Center.

In questi giorni tutti mi chiedono stupefatti: ma davvero Internet può vincere il Nobel? Io penso a dove siamo arrivati, alla conversazione infinita che in ogni angolo del mondo si è attivata (da due giorni un tweet di Lessig rimbalza da una parte all’altra…), e mi dico che comunque vada Internet ha già vinto.

Chi vincerà il Nobel per la Pace?