Tomassetti e Fusani

Ecco a cosa si alludeva nella lite di ieri alla conferenza stampa di Verdini

Chi abbia seguito la vivace lite occorsa verso durante la conferenza stampa di Denis Verdini ieri, è rimasto probabilmente con delle curiosità sui temi evocati dai litiganti. Due in particolare: la storia degli assegni contestata dalla giornalista Claudia Fusani a Verdini, e le allusioni ai precedenti professionali di Fusani da parte di Giuliano Ferrara.

Sulla prima, c’è stata una certa confusione di termini bancari – e di conseguenza poca chiarezza sulle contestazioni – e soprattutto sono stati evocati più volte degli assegni versati da Verdini a nome “Tomassetti” senza che nessuno spiegasse chi fosse questo Tomassetti. La questione è raccontata oggi da Paolo Colonnello sulla Stampa.

C’è stato un solo momento ieri, nella conferenza stampa di Verdini, in cui si è registrata tensione: quando una giornalista dell’Unità ha chiesto spiegazioni «sui soldi». E si capisce che i nervi siano saltati, perchè la “ciccia” vera di tutta quest’inchiesta, se esiste, al di là delle chiacchiere e delle raccomandazioni italiche, sono loro: «i soldi», gli affari, le mazzette. L’argomento è così spinoso che sul punto, tre sere fa, durante l’interrogatorio in procura, gli avvocati di Verdini sono intervenuti riservandosi di far arrivare al procuratore Capaldo «una memoria tecnica». Perchè Verdini da solo, non riusciva ad essere convincente.
Sono infatti ben quattro le “operazioni” finanziarie «con numerose analogie», sulle quali sarebbe bene che il parlamentare riuscisse a fare chiarezza. La prima è effettuata a cavallo dei mesi di giugno e luglio 2009 e riguarda una somma di 230 mila euro «negoziata presso il Credito cooperativo fiorentino di Campi Bisenzio», ovvero la banca di Verdini, attraverso assegni circolari, tutti rigorosamente di un euro al di sotto della soglia antiricilaggio (12.499 euro). La seconda risale al mese di ottobre dello stesso anno e – identico sistema di assegni, girati al prestanome di Carboni, nonchè autista tuttofare della sua convivente, Giuseppe Tomassetti – riguarda 16 circolari incassati ancora da Verdini presso la sua banca, utilizzando proprio la fotocopia di un documento d’identità faxato da Tomassetti («L’onorevole ti vuole conoscere…ringraziare», gli dice Carboni) per un valore complessivo di altri 200 mila euro. La terza («ci serve grana!», annuncia il solito Carboni al telefono spiegando che «una parte va a Roma») porta ad 8 assegni per un totale di 100 mila euro, sempre incassati al Credito fiorentino. La quarta, infine, riguarda un versamento di 800 mila euro da parte del solito Tomassetti e della Antonella Pau (convivente di Carboni) in favore della Società toscana edizioni, controllata da Verdini, a fronte di una scrittura privata stipulata nel giugno del 2009 ma in collegamento con una promessa di acquisto risalente addirittura al 2004, quando cioè ancora Carboni e Verdini non si conoscevano. L’unica spiegazione, parziale, data finora da Verdini è proprio su questi 800 mila euro che sarebbero stati un anticipo su una somma complessiva di 2 milioni e 600 mila euro che Carboni si era impegnato a versare («Ricordati del mio giornale!» gli diceva Verdini mentre discutevano degli affari sull’eolico) per rientrare «nell’editoria», come ha raccontato il parlamentare ai pm. Che poi si sia tentato di camuffare questo finanziamento legandolo a una promessa di 5 anni prima, di cui, annotano i Cc, non si è trovata traccia, al momento è un dettaglio secondario.

Altrettanto complicata e delicata la questione tirata in ballo dalle minacciose allusioni di Giuliano Ferrara a Claudia Fusani (“perché non chiedete a lei come mai è passata da Repubblica all’Unità in condizioni ancora da chiarire? La Fusani che dà lezioni di moralità!”). Oggi molti giornali e siti hanno provato a spiegarla, con poca attendibilità e completezza: perché è una storia che ha a che fare anche con scelte personali e sviluppi che non sono pubblicamente noti. E perché dalle ricostruzioni traspare spesso risentimento verso uno o l’altro dei litiganti. La ricostruzione più accurata pare quella di Giornalettismo:

Dietro il passaggio di Claudia Fusani da Repubblica all’Unità, infatti, non c’è assolutamente niente, se non l’amicizia e la stima professionale che lega lei e l’attuale direttore del quotidiano che fu di Gramsci. Invece, è vero che all’epoca del passaggio, la Fusani non si trovava più bene a Repubblica, relegata alla redazione del sito internet dopo una brutta storia che l’ha coinvolta insieme al collega Luca Fazzo. Storia che però Ferrara insinua a metà, senza ricordarne i risvolti. E allora facciamolo noi, anzi:lo rifacciamo. E’ una storia che risale all’epoca in cui i vertici del Sismi finirono nei guai per la storiaccia di Abu Omar. Nella richiesta di custodia cautelare per i due funzionari del Sismi Marco Mancini e Gustavo Pignero, ce ne erano molte che illustravano i metodi dei servizi segreti e del loro capo Nicolò Pollari per farsi informatori nella stampa. Il caso più famoso è quello dello spione-fabbricante di bufale Renato Farina, ex giornalista di Libero ora radiato dall’OdG e aspirante vittima del destino cinico e baro. Ma a fungere da informatori, oltre all’agente Betulla, sono stati, per un certo periodo, anche due giornalisti diRepubblica: ovvero, proprio Luca Fazzo e Claudia Fusani.Come si evince dalle intercettazioni, i due hanno intrattenuto rapporti con Mancini – e fin qui nulla di male – ma gli hanno anche inviato via fax una serie di articoli della coppia Bonini-D’Avanzo che raccontavano le magagne del Sismi. Fazzo e Fusani erano all’epoca due firme di punta del quotidiano di Ezio Mauro: lui ha seguito fin dall’inizio il caso Parmalat, lei è l’esperta di servizi segreti della sede di Roma e ha scritto articoli di denuncia all’epoca del G8. I due hanno anche firmato insieme un pezzo sui retroscena della liberazione di Clementina Cantoni del quale non è difficile individuare la fonte.

LA RIVOLTA DI REPUBBLICA – Non appena escono fuori i nomi, il Comitato di Redazione di Repubblica manda via mail a tutti un comunicato nel quale esprime solidarietà nei confronti degli spiati e, nelle ultime righe, anche qualche frase assolutamente di prammatica sui colleghiFazzo e Fusani. Bonini e D’Avanzo si arrabbiano e da quel momento tra loro e il CdR comincia uno scambio di mail sempre più furiose e lunghe come papiri, a cui i colleghi assistono con faccia sempre più stupefatta. Nel frattempo, la proprietà e la direzione del giornale decidono di convocare gli incriminati, per ascoltare cosa hanno da dire e decidere le sanzioni da adottare nei loro confronti. La prima a presentarsi è la Fusani: ammette tutto e spiega che ha agito in questa maniera per preservarsi la fonte Mancini. Se non avesse fatto quel poco che i servizi le avevano chiesto, era convinta che non sarebbe più stata presa in considerazione, magari a vantaggio della concorrenza (ilCorriere). Le sue decisioni, insomma, erano derivate più che altro da una scelta professionale e – alla fine dei conti – aziendalista. Poi arriva Luca Fazzo (nel frattempo sanzionato dall’Odg). Che, con le sue spiegazioni, lascia tutti a bocca aperta: lui non ha inviato articoli per preservarsi la fonte, no. Lui è davvero convinto che l’attività del Sismi sia sempre stata volta a salvare l’Italia dagli attentati e dal terrorismo. E se ha agito così, è stato per rendere un servizio alla Patria con la p maiuscola. Voleva aiutare il proprio paese, e collaborare con i servizi gli era sembrato il modo migliore per farlo.

LA FINE DELLA STORIA – A quel punto a Repubblica decidono di “diversificare le pene” per i due:Fazzo viene licenziato in tronco, la Fusani invece viene “relegata” al sito internet, dal quale comunque firma molti articoli di livello, pur non occupandosi più di cronaca giudiziaria e servizi segreti. Finché non arriva la chiamata di Concita per l’Unità, da dove continua a firmare articoli di livello.