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  • Mercoledì 21 luglio 2010

I destini della Mongolia

L'ultimo inverno è stato durissimo, ha ucciso le intere mandrie di 9.000 famiglie nomadi

Lo scorso inverno in Mongolia è stato durissimo. Temperature a 50 gradi sotto lo zero, neve che ha coperto tutta la nazione fino a maggio e quasi 9.000 famiglie nomadi che hanno visto congelarsi o morire di fame la loro intera mandria. Altre 33 mila ne hanno persa metà. Circa dieci milioni di bovini, pecore, capre, cavalli, yak e cammelli sono morti, un quinto del totale del paese. Quelli gravidi hanno perso i figli e più deboli sono malati. Costo totale della perdita: 520 miliardi di tugrik, quasi 300 milioni di euro. I mongoli chiamano questi inverni così rigidi dzud. Morte bianca.

La Mongolia è grande cinque volte l’Italia ma ha solo 2,75 milioni di abitanti, di cui il 40 per cento concentrati nella capitale Ulan Bator. Più di un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà — 101.600 tugrik, 60 euro mensili — nonostante nell’ultimo anno ci sia stata una crescita economica dell’8 per cento. Vent’anni dopo il collasso del comunismo, racconta il Guardian, il paese è a un nuovo punto di svolta.

Sotto il suolo mongolo ci sono oro, rame, uranio e carbone che aspettano solo di essere estratti. Dopo anni di discussioni politiche, lo scorso ottobre il governo ha raggiunto un accordo per sfruttare gli strati d’oro e rame nella miniera Oyu Tolgoi, nel sud del paese, un’operazione che dovrebbe portare circa cinque miliardi di dollari di investimenti stranieri. Una cifra di poco maggiore al prodotto interno lordo dell’ultimo anno.

Questo potrebbe essere l’inizio di una nuova stagione economica per la Mongolia, che deve però capire come trattare con i nomadi. Il nomadismo è parte integrate della cultura mongola ma è in parte una sua debolezza, soggetto alle variabili climatiche e alla mancanza di regolamentazione. Negli anni Novanta in molti si sono allontanati dalle città verso le campagne a causa della scarsità di cibo nei centri abitati. Questo però ha portato, secondo alcuni, all’incremento eccessivo del numero degli animali e alle conseguenze negative che questo comporta. Quando il prezzo del cashmere è salito i nomadi si sono ritrovati con soldi che hanno speso per comprare nuove capre, che hanno finito per danneggiare i pascoli. Poi è arrivata la crisi economica, gli occidentali hanno diminuito i loro acquisti, il prezzo del cashmere si è dimezzato e gli introiti dei nomadi sono crollati.

«Ovviamente puoi essere un nomade — ma se sei un nomade nel 21esimo secolo devi adattarti al mercato per sopravvivere,» ha dichiarato Tungalag Ulambayar del programma di sviluppo dell’ONU. Secondo lui i nomadi andrebbero istruiti sulla gestione del rischio di mercato e sulle nuove pratiche di allevamento del bestiame. «44 milioni di animali vanno ben oltre le capacità della Mongolia», ha detto.

Il progetto Oyu Tolgoi potrebbe creare tre mila nuovi lavori ma in molti si chiedono come questi soldi verrebbero spesi. Secondo Sanjaasuren Oyun, ex ministro degli esteri ed esperta geologa, incrementare la sanità e la scuola diversificherebbe l’economia dando una svolta allo sviluppo mongolo.

Fotografia di Federico Tamburini