Pomigliano, quelli che hanno votato no

Chi sono gli operai che hanno deciso di votare no? Li ha incontrati Teodoro Chiarelli della Stampa

Si è discusso molto su quelle che saranno le conseguenze del referendum tra i lavoratori dello stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco. Si è ragionato della decisione della FIAT ancora in bilico tra la Campania e la Polonia, ci si è chiesti quali conseguenze avrà l’accordo – qualora dovesse entrare in vigore, a questo punto – sul sistema industriale italiano e sulle condizioni contrattuali dei lavoratori. Meno attenzione è stata invece dedicata al racconto di chi fossero gli operai di Pomigliano e soprattutto: perché abbiano votato contro l’accordo in una percentuale superiore a quella che moltissimi si sarebbero aspettati, negando a Marchionne il plebiscito che desiderava. Ci prova oggi Teodoro Chiarelli, sulla Stampa.

Sul grande piazzale niente più presìdi, slogan, cartelli e striscioni. Rimane un lungo lenzuolo rosso che recita «Con i lavoratori di Pomigliano contro i ricatti della Fiat». Lavorano solo 345 operai, divisi su due turni, del reparto stampaggio. Devono produrre lamiere per rifornire la fabbrica di Melfi dove si fa la Bravo e la Sevel di Val di Sangro. Pochi accettano di commentare l’esito di una votazione che ha avuto, come al solito, tante interpretazioni. Uno avvicina di sua sponte il cronista. «Vuole sapere come mai così tanti no? Glielo spiego io». Prego. «Mi chiamo Carmine, ho 35 anni, non sono della Fiom né dei Cobas, però ho votato no, come tanti. Cerco di tenermi informato e di ragionare con la mia testa. Perché no? Perché lavoro alla catena di montaggio. Si sono fatti tanti discorsi sull’assenteismo o sul diritto di sciopero. Balle. La gente alla catena di montaggio non ne può più dei ritmi infernali a cui è sottoposta. Figuriamoci di quelli che vuole imporci domani Marchionne». Carmine insiste. «Non sono un barricadiero, ho sempre lavorato, mai un giorno di malattia, altro che fannullone. Ma qui vogliono imporci condizioni capestro, prendere o lasciare, perché alla Fiat interessa solo aumentare i carichi di lavoro: una macchina al minuto, 350 auto al giorno per tre turni lavorativi».

Secondo altri lavoratori dell’impianto, il risultato con quasi un terzo di no non è poi così sorprendente: il disagio è forte, specialmente nei reparti più usuranti, così in molti hanno deciso di votare contro anche se il loro sindacato aveva dato una diversa indicazione. Tra i soli operai, ricorda la Fiom, la percentuale dei no ha raggiunto il 40%. Chi, invece, ha votato sì non può fare a meno di dirsi combattuto pensando ai colleghi che passano le giornate alla catena di montaggio, dove i turni di lavoro sono spesso più duri e si portano a casa 800 euro.

Intanto arriva una giovane coppia di trentenni. Lui, alto, capelli a zero, fisico prestante, tiene in braccio un bimbo di tre anni. Ma è lei che varca il cancello dello stabilimento. «Abbiamo accompagnato la mamma – dice con un sorriso -. Anch’io lavoro qui. O meglio siamo tutti e due in cassa integrazione, ma oggi mia moglie è stata richiamata, alla lastratura c’è qualche commessa da finire. Poca roba. E noi siamo fortunati, la cassa si moltiplica per due. Ma se salta il banco diventa un disastro: in due in mezzo a una strada. Ho votato sì, che potevo fare? E anche mia moglie».

Il no ha raggiunto alti livelli anche sul fronte femminile, spiegano quelli di Radio fabbrica a Chiarelli. La preoccupazione maggiore è per il nuovo regime degli orari previsti nell’accordo. In molte temono di non farcela a far quadrare la suddivisione delle ore con la vita familiare: «Non chiedo favori, non mi fa paura l’orario notturno. Ma grazie a Dio non sono sposata, non ho figli. E chi li ha? Avevano fatto tante promesse, ma qui andiamo a peggiorare» spiega Maria Capasso, in Fiat da nove anni.

Dicono che a Pomigliano non si rida più. Che la crisi stia uccidendo lentamente la fiducia nel futuro di un’intera generazione di trentenni. Massimiliano, fronte del sì, non ci sta. «Questa fabbrica ha ancora una speranza. Qui siamo in tanti in grado di fare un prodotto di qualità. Resto ottimista: nonostante le troppe amarezze e le innumerevoli circostanze negative che hanno portato ai tanti no, riusciremo a portarli dalla nostra parte».