Ecco come funzionava la cricca

Carlo Bonini su Repubblica racconta la storia della ristrutturazione di un immobile del Sisde

Come in ogni vicenda oscura che si rispetti, a un certo punto arrivano i servizi segreti. La vicenda è quella dell’inchiesta “Grandi eventi”, della cricca di Anemone e Balducci. Dei rapporti tra Anemone e il Sisde si parla da tempo, e un mese fa il Copasir avviò un’inchiesta interna che accertò che tra i servizi segreti e l’imprenditore romano non ci fossero mai stati rapporti diretti. Stando a quello che racconta Carlo Bonini su Repubblica, i rapporti ci sarebbero stati eccome.

A metà della scorsa settimana, i carabinieri del Ros hanno bussato al portone brunito di via Giovanni Lanza 194. Sono entrati nella sede dell’Aisi (ex Sisde) con un ordine di esibizione firmato dai pm di Perugia Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Ne sono usciti con quattro faldoni di documenti classificati.

Nei quattro faldoni ci sono appunti, relazioni e verbali che ricostruiscono la storia della ristrutturazione della ex caserma Zignani, a Roma: una ristrutturazione il cui costo iniziale, datato 2004, ammontava a tre milioni e mezzo di euro, ma si trasformò per Anemone in un affare da oltre dodici milioni. Bonini dice di aver avuto accesso a documenti e testimonianze “in grado di dare conto del contenuto delle carte sequestrate”.

La storia comincia nell’agosto del 2002, quando il Sisde decide di ristrutturare i locali dell’ex caserma, così da poterli utilizzare. Il direttore del Sisde Mario Mori fa predisporre un progetto che prevede “la ristrutturazione di un intero fabbricato, la realizzazione di opere di sicurezza, la costruzione di un muro divisorio, la realizzazione di un ingresso carraio, il rifacimento degli impianti e dell’illuminazione perimetrale”. Il tutto per un costo di due milioni di euro.

Il 23 luglio del 2003, il Demanio acquisisce la “Zignani” e, l’8 novembre, il direttore del Servizio, con una nota, nel chiedere che gli edifici da ristrutturare siano non uno ma due, comunica che sarà il Provveditore alle Opere Pubbliche del Lazio, Angelo Balducci, a scegliere la ditta cui affidare l’appalto.

Il piano dei lavori cambia, quindi. I fabbricati da ristrutturare sono due. I costi superano i tre milioni. Il progetto viene convalidato dal provveditorato o meglio, dal tecnico che Balducci ha scelto come responsabile: l’ingegnere De Santis.

Il 27 febbraio, i lavori vengono affidati alla società in nome collettivo “Anemone di Anemone Dino”, che si aggiudica l’appalto per 3 milioni e mezzo di euro, con un ribasso del 6 per cento. Il 5 marzo, viene costituito l’ufficio di Direzione dei Lavori e nel cantiere fa ingresso la “Medea”, il veicolo societario di cui sono proprietari Diego Anemone e Mauro Della Giovampaola. Il 26 marzo – documenta il “Giornale di cantiere” – partecipano a un sopralluogo alla “Zignani”, De Santis, Dino Anemone, suo figlio Diego, Della Giovampaola.

A questo punto la storia dell’ex caserma si intreccia con quella di altri affari della cricca, altri immobili comprati e venduti. Siamo all’inizio di aprile, l’appalto è acquisito: Anemone acquista un appartamento in via Merulana e lo intesta alla figlia del generale Pittorru, nominato da Mori capo del dipartimento minacce interne del Sisde. E qui il costo della ristrutturazione inizia a lievitare.

Il 15 aprile, nella sede del Provveditorato, De Santis convoca Della Giovampaola, Anemone e i tecnici del Sisde, che annotano: “Lo scopo della riunione è far lievitare gli oneri (…) L’ingegner Della Giovampaola ha cominciato con la sistematica e pretestuosa delegittimazione del progetto definitivo, sostenendo che deve essere rivisto. Balducci, a riunione avanzata, assicura che i maggiori oneri saranno coperti dalle disponibilità del Provveditorato”. A metà maggio, Mauro Della Giovampaola licenzia il progetto esecutivo. Il 3 giugno, i tecnici del Sisde lo dichiarano “irricevibile”. In un appunto, spiegano che “non è validabile”, perché “eseguito in modo superficiale” e “non rispondente alle prescrizioni del progetto definitivo”.

La relazione dei tecnici del Sisde parla esplicitamente di “apparecchiature sovradimensionate, ridondanti, non richieste”, “formulazione unilaterale di nuovi prezzi e di aggiunta di apparecchiature non indispensabili”. Non va bene.

Si può ora immaginare l’insoddisfazione di Balducci e Anemone. È in ogni caso evidente il loro passaggio al “piano b”. Il 24 giugno, Balducci convoca una nuova riunione al Provveditorato. Con lui, sono presenti Mori, il suo vicedirettore vicario Nicola Di Giannantonio, De Santis, Della Giovampaola, Diego Anemone, i tecnici del Servizio. De Santis e Della Giovampaola, tornano a sostenere le ragioni del gigantismo della ristrutturazione. I tecnici del Sisde osservano che la lievitazione dei costi sfiori ormai il 200 per cento. La riunione si fa tesa. Mori ipotizza varianti al progetto. Balducci, come aveva già fatto il 15 aprile, ribadisce che verranno in soccorso le casse del Provveditorato.

Per capire il piano B bisogna intrecciare questa vicenda con un’altra, ben nota. Pochi giorni dopo quella riunione Anemone paga la casa in via del Fagutale dell’allora ministro Claudio Scajola. Alla fine di luglio Balducci è direttore del Servizio Integrato per le Infrastrutture e i Trasporti di Lazio, Abruzzo e Sardegna: ha trovato una cassa. Attinge direttamente alle risorse e consegna otto milioni e mezzo di euro ad Anemone per ristrutturare l’ex caserma. Sarebbe finita, ma non è finita. Perché i tecnici del Sisde vengono estromessi dalla direzione dei lavori e viene nominato un nuovo responsabile del dipartimento tecnico: il generale Pittorru. Che per la prima cosa si libera di chi si era messo di traverso all’appalto.

A fine ottobre, Balducci, De Santis, Anemone e Della Giovampaola hanno mano libera. Mori chiede l’ennesima riformulazione del progetto esecutivo. E, il 27 dicembre, Balducci trova altri soldi. La “Tecno-cos srl” (gruppo Anemone) riceve un nuovo appalto di 3 milioni e 200 mila euro a titolo di “integrazione degli impianti di sicurezza” della Zignani. La partita è chiusa. A giugno 2006, Anemone compra a Francesco Pittorru la casa di via Angelo Poliziano 8 (520 mila euro) che oggi abita. Indagato per corruzione, il generale ha lasciato l’Aisi il 14 maggio “per limiti di età”. Raccontano si sia congedato con la “cravatta” (il vitalizio previsto dalla legge) e una “bicchierata” per pochi negli uffici del Servizio. Che il direttore e i suoi vice non si siano fatti vedere.