• TV
  • Lunedì 14 giugno 2010

Il piano di Bersani per la RAI

Il segretario del PD ha "una proposta seria, semplice e chiara", e la racconta in una lettera al Corriere

Il segretario del PD Pier Luigi Bersani scrive oggi al Corriere della Sera per illustrare la sua posizione sulla situazione della RAI e fare una proposta per tentare di migliorarne l’attuale disastrosa situazione. L’attacco è deciso e adeguato all’attuale situazione della televisione pubblica italiana: la fotografia del disastro è data dal fatto che sarebbe stato “adeguato all’attuale situazione” anche uno, due o cinque anni fa.

Caro direttore,
non ci stiamo. Non si può più assistere al degrado della Rai. Non si può avallare una gestione irresponsabile che squalifica il servizio pubblico. Non si può tollerare il ricatto di un primo ministro che minaccia quando vede programmi che non lo elogiano. E dimentica che questa Rai, questo direttore generale, la maggioranza del consiglio di amministrazione dell’azienda, sono quelli che lui ha voluto e imposto. È arrivato davvero il momento di cambiare. Questa gestione governativa della Rai porta al crollo di quella che è stata una grande azienda. La spinge verso posizioni marginali del mercato, succube di Mediaset e Sky su due settori strategici, quello della raccolta pubblicitaria, e quello della concorrenza sulle nuove piattaforme.

Bersani critica duramente l’ennesima manifestazione del conflitto di interessi del premier – “principale azionista di Mediaset, primo concorrente della Rai” e ministro ad interim per lo Sviluppo economico – e ammonisce: “o si cambia la governance della Rai o l’azienda andrà verso il baratro della decadenza”.

Ci sono due emergenze plateali: una democratica, una economico-industriale, con un bilancio in forte perdita, una prospettiva di piano industriale fatto di tagli, di sacrifici, senza alcun ripensamento complessivo della missione aziendale del servizio pubblico. Parte non piccola delle responsabilità è di questo consiglio e di questo management, che non ha saputo affrontare la sfida né mostrare la necessaria autonomia dalla politica.

Detto che il baratro della decadenza sembra essere già arrivato da molto tempo – e non senza colpe e complicità da parte della sinistra, sia quando è stata all’opposizione che quando è stata al governo – la notizia è che oggi il PD ha una proposta sulla RAI.

In attesa di una riforma più articolata e importante del servizio pubblico nell’era della svolta digitale, della rivoluzione del sistema radiotelevisivo con la presenza di molte piattaforme tecnologiche, e soprattutto in vista dell’arrivo della banda larga (che fine hanno fatto gli investimenti promessi dal governo? Dove sono finite le risorse che erano state accantonate dal centrosinistra?) facciamo una proposta seria, semplice e chiara: un amministratore delegato con poteri pieni, sia pure indicato dall’azionista Tesoro, scelto dai due terzi di un nuovo consiglio di amministrazione; un consiglio di amministrazione espresso anche da Regioni e Comuni oltre che dalla Vigilanza. Vogliamo una Rai che non dipenda più dalle segreterie dei partiti, vogliamo un’azienda che sia gestita il più possibile con le regole del codice civile.

Secondo Bersani, il nuovo amministratore delegato – “scelto per le sue competenze ed esperienze manageriali” – avrebbe 180 giorni per proporre al Parlamento un “piano di riorganizzazione” della RAI.

Nel tempo che viviamo, in cui la comunicazione spesso detta l’agenda alla politica, è irrinunciabile per una democrazia poter contare su un servizio pubblico gestito in maniera autonoma e indipendente, precondizione per offrire un terreno di gioco neutro a tutte le forze in campo. La nostra è una proposta di buon senso. Non si può non vedere il crescente disagio e distacco che matura nell’opinione pubblica verso un’azienda che in passato è stata una fucina di idee, e un importante fattore di coesione nazionale. E che nel futuro potrebbe essere una vera palestra di autonomia, di creatività e libertà espressiva, di innovazione. Al di fuori di questi obiettivi non ci può essere infatti un senso riconoscibile per un servizio pubblico.