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  • Sabato 5 giugno 2010

Perché gli americani sono tristi, oggi

In tutti gli Stati Uniti si parla della morte di John Wooden

di Mauro Bevacqua

“Paura di morire? Macché! Perché dovrei avere paura di morire? Una volta, magari, ma ora non più. Ho avuto la vita più bella che potessi avere”.

Nel dare l’addio a John Wooden, il più grande allenatore di basket di sempre, ecco il primo motivo per non essere tristi. Facile da dire, difficile da farsi: “Mi rattristo per la scomparsa di un grandissimo allenatore – ha dichiarato ad esempio Barack Obama – ma di un uomo ancora più grande. Da americano, voglio ricordare il modo in cui ha ottenuto il suo successo, con modestia e umiltà”.

E quando si parla di “successo”, riferito a Wooden, si parla della più incredibile serie di vittorie che lo sport americano ricordi: in un arco di 12 anni, la sua UCLA (University of California at Los Angeles) vinse 10 titoli universitari, 7 consecutivi, raccogliendo 335 successi su 357 partite disputate, di cui 88 in fila.

John Wooden è sinonimo di California, di Los Angeles, di UCLA (il suo soprannome è “The Wizard of Westwood”, il Mago di Westwood, dalla zona di L.A. dove si trova il campus di UCLA), ma era nato in Indiana il 14 ottobre 1910, perché “the Hoosiers State” è lo stato della pallacanestro per eccellenza, e il suo maestro più grande non poteva che essere nato lì.

Anni fa mi recai a Newcastle, Indiana, a visitare la Hall of Fame del basket statale, graziosa struttura senza troppe pretese gestita da un paio di simpatiche vecchiette tutte sorprese dell’arrivo di un italiano. Pagato il biglietto di ingresso, il tour iniziava con una lezione di John Wooden in persona (macché, a parlarmi era un suo ologramma tridimensionale proiettato nel buio della stanza) sul tema a lui più caro: la Piramide del Successo. Una sua creazione, il suo lascito più grande, ancora oggi recitata a memoria tanto negli spogliatoi delle palestre quanto nelle aule delle università più prestigiose. Una serie di principi “filosofici” alla base del successo tanto nello sport quanto nella vita, sviluppati partendo dai sette insegnamenti fondamentali ricevuti da suo padre, Joshua, il giorno del diploma.

Ma se papà Joshua è una figura fondamentale nella vita di Wooden, ancora di più lo è Nell Riley, o meglio “la sua Nelly”. “L’unica donna che ho mai baciato”, ammetteva senza nessuna vergogna un Wooden già 90enne, in una commovente intervista di qualche anno fa. Fidanzati dai tempi della scuola, la sposò nel 1932. Con lei ha condiviso 53 anni di matrimonio, fino al 21 marzo 1985 quando un tumore la uccise. Da quel giorno, ogni 21 del mese, puntuale e costante John Wooden prendeva in mano carta e penna e le scriveva una bella lettera, una lettera d’amore, per continuare a vivere assieme, per continuare a sentirla vicina. Fanno 25 anni di lettere senza risposta. Perché è grazie a Nelly, prima ancora che grazie ai tanti campioni allenati (da Kareem Abdul-Jabbar a Bill Walton), che John Wooden ha potuto godersi “la vita più bella che potessi avere”. Ora che è terminata, lui “si riunisce con la sua amata moglie Nell”, ha voluto ricordare Barack Obama. E la gioia di questo incontro, per Wooden, è più grande di quella di qualsiasi vittoria.
https://www.youtube.com/watch?v=BFbZckxrTTQ