La riserva di petrolio che la BP aveva individuato nel Golfo del Messico è stata chiamata Macondo, come la città maledetta in Cent’anni di solitudine, il romanzo di Gabriel Garcia Marquez. Per estrarne il petrolio, la British Petroleum si è affidata come al solito alla Transocean, la più grande azienda al mondo di trivellazioni in mare aperto. E tra le piattaforme petrolifere a disposizione, la BP ha scelto la Deepwater Horizon, il cavallo da battaglia con la quale l’azienda britannica aveva già lavorato. Sotto la supervisione della BP, operai della Transocean più quelli di altre aziende a cui è stato appaltato il lavoro si sono occupati delle operazioni. Che il 20 aprile scorso hanno portato a un’esplosione che ha portato undici vittime e al disastro ambientale che stiamo osservando da ormai cinque settimane.
Le investigazioni governative non si sono concluse, e le cause dell’esplosione non sono chiare. Gli ingegneri industriali interpellati finora hanno indicato come possibili cause un cedimento o della chiusura ermetica in cima al pozzo o del “tappo di cemento” alla base. Ma nessuna delle due ricostruzioni spiega esattamente cosa sia successo, e soprattutto perché. Il Wall Street Journal ha condotto un’indagine per cercare di scoprire quali siano le cause e di chi siano le colpe del disastro. Quel che ne è venuto fuori punta verso un’unica risposta: una serie di errori, più o meno consapevoli, forse dati dal bisogno di risparmiare tempo e soldi, nelle decisioni della BP. Decisioni che, se non tutte almeno una buona parte, sono state approvate dalla sezione del dipartimento degli interni statunitense incaricata di regolamentare e supervisionare gli scavi e le trivellazioni in cerca di energia.
I primi problemi: una piccola infiltrazione
La trivellazione ha avuto diversi problemi ben prima dell’esplosione del 20 aprile. L’8 marzo gli operai hanno scoperto che del gas si stava infiltrando nel pozzo, e hanno tentato di usare un dispositivo che potesse determinare quello che stava succedendo, senza riuscirci. Gli ingegneri hanno allora suggerito di chiudere con del cemento gli ultimi 600 metri del buco che avevano creato — allora profondo 4 chilometri — e di continuare a trivellare in un’altra direzione. Ci sono voluti diversi giorni per risolvere il problema, che sono costati un milione di dollari l’uno alla BP.
Sei dispositivi invece di ventuno
Alla fine della trivellazione, dopo aver versato il fango nel pozzo, una delle ultime cose che rimane da fare è cementare la base del pozzo per andare a riempire e sigillare lo spazio che intercorre tra il condotto e la roccia. Quest’operazione è fondamentale, perché qualsiasi fessura potrebbe permettere al gas — che dalla riserva di petrolio spinge verso l’alto con una pressione altissima — di infilarsi nel pozzo. Halliburton, l’azienda a cui era stata appaltata la cementazione, ha consigliato alla BP di installare ventuno diversi depositivi per assicurarsi che il condotto fosse perfettamente centrato rispetto al pozzo, e quindi non rischiare di cementare lasciando aperti dei piccoli canali per il gas. Di quei ventuno, la BP ne ha installati sei. E anche se la Halliburton ha dichiarato in seguito che la scelta era comunque “dentro gli standard industriali”, un documento datato 18 aprile — due giorni prima dell’esplosione — riporta chiaramente l’avvertimento che l’azienda diede alla BP: se non installate più dispositivi avrete “un grave problema di perdita di gas”.
Un condotto invece di due
E se il lavoro di cementazione è fondamentale in ogni trivellazione, nel caso della Deepwater Horizon lo era il doppio: la BP ha infatti scelto di operare con un solo condotto invece di due, come fanno quasi sempre le compagnie petrolifere. Due condotti, uno dentro l’altro e sigillati tra loro, portano a una maggiore sicurezza: se il gas fuoriesce da uno, oltre al cemento esterno deve prima rompere anche il sigillo tra i due condotti. Ovviamente, due condotti costano di più. La BP ha spiegato che operare con un solo condotto è assolutamente normale, la decisione viene presa di volta in volta in base al progetto.
La circolazione del fango
Prima di cementare, inoltre, di solito le aziende fanno circolare bene il fango attraverso il pozzo, facendolo arrivare dalla base alla superficie; l’operazione serve a vedere se il fango assorbe del gas infiltrato, in modo da poterlo poi estrarre dal pozzo. Solitamente la procedura richiede dalle sei alle dodici ore. La BP ha scelto di farlo solo per mezz’ora, senza fargli raggiungere nemmeno lontanamente la cima, rischiando così di lasciare del gas presente nel fondo. Interpellati dal Wall Street Journal, tre ingegneri che si occupano di trivellazioni in mare aperto hanno detto di considerare questa scelta una dei principali motivi del disastro.