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  • Lunedì 3 maggio 2010

La guerra dei Bhutto

La nipote di Benazir Bhutto accusa la zia e l'attuale Presidente del Paksitan Asif Ali Zardari

Pochi mesi prima di morire in un attentato, Benazir Bhutto disse che sperava che un giorno anche sua nipote Fatima avrebbe aperto gli occhi sulla storia più recente del Pakistan. Ma a quasi tre anni dalla sua morte Fatima Bhutto, 27 anni, ha invece scritto un memoriale sulla storia della sua famiglia che attacca direttamente la zia e scatena molte polemiche.

Fatima aveva 14 anni quando nel 1996 suo padre Murtaza Bhutto, fratello di Benazir,  fu ucciso dalla polizia in uno scontro davanti a casa. La vita di Murtaza Bhutto – scrive il Guardian in una recensione del libro “Songs of Blood and Sword” –  era stata ossessionata da due cose. La prima: vendicare la morte di suo padre, l’ex presidente del Pakistan Zulkifar Ali Bhutto, ucciso dal regime del generale Zia-ul-Haq. La seconda: proteggere l’eredità politica del padre dalle ambizioni senza scrupoli di Benazir.

Il libro ripercorre la storia della famiglia Bhutto e del Pakistan a partire dal 1979, quando Zulkifar Ali Bhutto fu deposto, imprigionato e ucciso dopo un colpo di stato militare. La nipote Fatima racconta che il nonno nei suoi ultimi giorni di vita avrebbe scritto una lettera ai suoi due figli maschi, Murtaza e Shahanawaz, chiedendo di vendicarlo. Entrambi i fratelli Bhutto morirono cercando di vendicare il padre. La sorella maggiore Benazir invece divenne per due volte Primo Ministro del Pakistan, prima di morire in un attentato nel dicembre del 2007. Ma Fatima la accusa per la morte del padre e dello zio.

Murtaza lasciò il Pakistan subito dopo l’insediamento del regime di Zia e tornò solo nel 1993. Durante la sua assenza la sorella Benazir aveva avuto campo libero per mettersi alla guida del partito fondato dal padre, il Paksitan People’s Party. Ma secondo la ricostruzione del libro della nipote gli ideali furono presto sacrificati in nome delle sue ambizioni politiche, che la convinsero in fretta a venire a patti con il potere militare pakistano – lo stesso che si era macchiato dell’omicidio del nonno Zulkifar Ali Bhutto – a partire dalle elezioni del 1986. Fu la delusione per questo tradimento, secondo Fatima, a spingere suo padre Murtaza a tornare in Pakistan per cercare di riportare il partito ai suoi valori originari di socialismo, antimilitarismo e antifeudalesimo.

Il ritorno di Murtaza rappresentava quindi una minaccia per lo status quo di Benazir, che nel frattempo si era anche sposata con Asif Ali Zardari, proveniente da una delle più potenti  famiglie aristocratiche del Paese.

La ricostruzione di Fatima Bhutto ruota tutta attorno a questo scontro: da una parte lo schieramento del padre Murtaza, idealista, socialista e riformatore; dall’altra quello della zia Benazir, militarista, feudale e appoggiata dagli Stati Uniti. Il profilo della zia Benazir acquista progressivamente tonalità sempre più cupe, fino ad accusarla direttamente di essere stata responsabile dell’omicidio del padre:

Fatima sottolinea che quando suo padre fu ucciso Benazir era Primo Ministro del Pakistan e che gli uomini accusati di averlo ucciso furono tutti assolti quando suo marito Zardari divenne Presidente nel 2009. Proprio queste assoluzioni l’hanno spinta a scrivere il libro, con l’obiettivo di rendere pubbliche le evidenze che contraddicono la versione ufficiale data sulla morte di suo padre. Sulla morte di Murtaza Bhutto durante la cosiddetta “sparatoria” con la polizia restano in effetti molti punti oscuri. Non era mai stato emesso nessun avviso di cattura nei suoi confronti; dopo la cosiddetta “sparatoria” furono trovati solo pallottole di pistole della polizia; Murtaza e le sue sei guardie furono tutte uccise ma nessun poliziotto morì; le prove furono distrutte, i testimoni arrestati e i sospetti liberati. L’unica inchiesta ufficiale dichiarò in seguito che l’ordine di uccidere Murtaza Bhutto doveva essere essere venuto dalle più alte cariche dello Stato. Su queste basi, Fatima accusa Benazir e Zardari di essere i responsabili morali della morte di suo padre.

Le accuse continuano poi con l’associazione di Benazir alla morte anche dell’altro suo fratello  Shahanawaz, avvenuta in Francia nel 1985.

Sulla base di un’intervista con un avvocato francese coinvolto nel caso, Jacques Vergès, Fatima suggerisce che la responsabilità dell’omicidio – abitualmente attribuita al governo militare pakistano – sia di Benazir.

In Pakistan il libro sta facendo molto discutere soprattutto all’interno della famiglia Bhutto che accusa Fatima di avere manipolato la storia con insinuazioni false che macchiano la memoria di Benazir.

Secondo l’Independent la ricostruzione di Fatima è molto di parte e a tratti ingenua. Il padre Murtaza sarebbe dipinto come un eroe idealista senza macchia, dimenticando le violenze di cui fu a sua volta responsabile nel tentativo di ribaltare la dittatura di Zia-ul-Haq. La zia Benazir invece sarebbe presentata come una traditrice feroce e senza scrupoli, incapace di leggere in Urdu e appassionata di romanzi rosa.

Molti critici in Pakistan avvertono che il libro rischia solo di favorire ancora una volta lo scontro tra due diretti discendenti della famiglia Bhutto: Fatima e suo cugino Bilawal, il primogenito di Benazir che al momento studia a Oxford e che come il padre – l’attuale Presidente del Pakistan Asif Ali Zardari – non ha voluto commentare il libro.

Fatima invece – in tour per la presentazione del libro in Gran Bretagna – si è difesa in un’intervista con la BBC: “la strada verso la giustizia è lunga e difficile”. E in un suo commento su Twitter ha risposto alle critiche provenienti dal suo Paese scrivendo “la buona notizia è che in Pakistan mi odiano ancora!”.