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  • Sabato 18 giugno 2016

Esistono anche gli entusiasti di Hillary Clinton

In questi mesi sono stati un po' da parte, anche per via dell'aggressività di certi sostenitori di Sanders: ora possono uscire allo scoperto, racconta il New York Times

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Ora che le primarie dei Democratici statunitensi sono finite, in molti si stanno chiedendo cos’abbia spinto Bernie Sanders a restare in ballo fino all’ultimo, persino diverse settimane dopo che ottenere la vittoria era diventato per lui praticamente impossibile. Nate Silver, giornalista americano esperto di sondaggi e fondatore del sito FiveThirtyEight, qualche tempo fa ha avanzato la teoria che Sanders sia rimasto in corsa perché tenacemente incoraggiato dal suo staff e da «decine di milioni di ammiratori» che potrebbero avergli fatto perdere il contatto con la realtà.

I sostenitori di Sanders in effetti sono descritti da mesi – e in parte si descrivono anche da soli – come i più rumorosi e motivati, al limite della sgradevolezza: nei mesi scorsi sui profili ufficiali e meno ufficiali di Sanders venivano postati foto di comizi affollatissimi, video di giovani elettori innamorati persi di Sanders, spot televisivi strappalacrime. Ora però un nuovo articolo del New York Times mette in relazione l’ingombranza dei sostenitori di Sanders con l’apparente silenziosità di quelli di Clinton. Il New York Times, come altri giornali in precedenza, sostiene cioè che finora alcuni sostenitori di Clinton abbiano manifestato con prudenza le loro opinioni per timore di essere malvisti o criticati da quelli di Sanders, a volte anche con aggressività.

Ad aprile una studentessa ventenne di Harvard ha scritto una lettera aperta pubblicata dal New York Times in cui spiega che nel campus manifestare pubblicamente il proprio appoggio per Clinton equivale in sostanza a dire di essere un sostenitore di Donald Trump, tale è il disgusto dei suoi colleghi – in gran parte sostenitori di Sanders – per Clinton. In un’intervista successiva, la stessa studentessa ha raccontato al Guardian che «se una persona è un’attivista universitaria di sinistra e sceglie di sostenere Clinton, viene trattata quasi come una traditrice. Mi chiedono: “perché non vuoi che l’università sia gratuita? È una cosa ingiusta. Perché non vuoi che tutti siano pagati allo stesso modo? E perché non vuoi tassare i ricchi? Che problemi hai?” È come se ti stessero dicendo che sei malvagia».

L’articolo del New York Times riporta esempi di molestie anche più gravi. Kate Hess, una produttrice di Los Angeles di 38 anni, ha raccontato che quando ha indossato una maglietta pro-Clinton per andare a fare la spesa a West Hollywood – «forse il quartiere più accogliente del mondo» – qualcuno le ha gridato contro. Laura Bogart, una giornalista di Baltimora, ha spiegato che un post in favore di Clinton pubblicato sui social network ha generato commenti da persone sconosciute e insulti sessisti. Martha Harrison, una studentessa di medicina alla New York University, dice di essere «abbastanza sicura» che un ragazzo che stava frequentando l’ha lasciata quando ha scoperto che lei avrebbe votato per Clinton.

Per poter parlare in sicurezza del proprio appoggio a Clinton, alcuni suoi sostenitori hanno aperto dei gruppi chiusi di Facebook, a metà fra le pagine di supporto psicologico e dei club di lettura: si discute di come rispondere meglio ai sostenitori di Sanders e ci si incoraggia una volta che si decide di rendere pubblica la propria preferenza per Clinton. Tanya Tarr, un’ex attivista politica di 38 anni ora diventata personal trainer, spiega che farsi notare poco sui social network equivale a una forma di «rispetto di sé»: «piuttosto che sprecare le mie energie litigando o arrabbiandomi, preferisco organizzarmi silenziosamente o fare il mio dovere per far eleggere il mio candidato».

In molti hanno dato la colpa di questo clima alla retorica divisiva di Bernie Sanders, il cui tema principale della campagna elettorale è stato invocare una “rivoluzione” politica. L’efficacia dei suoi slogan e comizi e il suo profilo originale – senatore molto di sinistra dall’aria simpatica, entrato nel Partito Democratico pochi mesi fa solo per fare le primarie – sono riusciti ad attirare moltissimi elettori normalmente poco attivi alle primarie, per esempio i più giovani. Il sostegno di una porzione molto “visibile” dell’elettorato – come appunto i giovani e la frangia più di sinistra del partito – hanno probabilmente gonfiato le aspettative di Sanders e dei suoi sostenitori, costringendo di conseguenza Sanders a rimanere in corsa fino alla fine per non tradire la sua base, e i sostenitori Clinton a tenere un atteggiamento più defilato, per evitare litigi o uno scontro che avrebbe danneggiato il partito.

Alla fine però le primarie sono state meno combattute del previsto, e a parte alcune sorprese in alcuni stati, da qualche mese a questa parte Clinton era quasi certa di ottenere la vittoria: Clinton ha finito per vincere in 32 stati contro i 22 di Sanders, ottenendo 15 milioni di voti contro gli 11,8 di Sanders. Un buon esempio di quello che può essere successo in diversi posti lo ha raccontato il giornalista Ryu Spaeth in un breve articolo su New Republic, pubblicato poco dopo le primarie di New York (lo stato “di casa” sia per Clinton sia per Sanders), tenute il 19 aprile.

Nelle scorse settimane avreste potuto scambiare New York per Bernietown. I volontari di Sanders erano presenti in tutte le stazioni della metro, da Sunset Park fino a Times Square, e invitavano i pendolari a registrarsi per votare. Volantini di Sanders venivano dati via agli angoli della strada e appiccicati sulle finestre delle casette di Brooklyn. Quando la catena di gelaterie Ben & Jerry ha detto che avrebbe regalato coppette a gusto Bernie a Union Square, la fila si è subito trasformata in una folla. E ai comizi di Sanders a Washington Square Park e Prospect Park la gente era tantissima, più di quella che attirò Obama passando in città nel 2007. Era molto chiaro chi erano i sostenitori di Sanders, sulla base della t-shirt con scritto “Unisciti alla rivoluzione politica” che indossavano orgogliosamente. Eppure alle primarie Clinton ha stracciato Sanders: dai distretti più poveri a quelli più ricchi, in tutti gruppi etnici, dal Bronx a Manhattan, vincendo facilmente sia a Brooklyn sia nel Queens.

Clio Tarazi, un’urbanista di 61 anni in pensione che adesso fa la volontaria per i Democratici, ha raccontato al New York Times che dopo che Clinton ha vinto le primarie diverse donne si sono presentate alla sede del partito della California e hanno detto: «Ora siamo al sicuro? Vorrei fare la volontaria». Tarazi ha aggiunto: «Una donna si è anche messa a piangere. Credo che si tratti dello stesso tipo di emozione, della voglia di essere rassicurati, di sapere che ora si può uscire allo scoperto senza conseguenze».