Sei mesi di mah

L'Italia del governo Letta è una prosecuzione dell'Italia del governo Monti, ma con Alfano e Zanonato: è inevitabile, siamo tutti sempre gli stessi

Italian Prime Minister Enrico Letta gives a press conference with Greek Prime minister Antonis Samaras after their meeting on October 21, 2013 at the Palazzo Chigi in Rome. AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO (Photo credit should read ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Italian Prime Minister Enrico Letta gives a press conference with Greek Prime minister Antonis Samaras after their meeting on October 21, 2013 at the Palazzo Chigi in Rome. AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO (Photo credit should read ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Sei mesi fa Enrico Letta concludeva le consultazioni per la formazione del governo che avrebbe giurato tre giorni dopo, come tutti ricordano, grazie soprattutto alla decisa volontà del Presidente della Repubblica Napolitano che aveva ottenuto dai partiti “tradizionali” un potere praticamente assoluto, quando quelli erano andati da lui in ginocchio ad ammettere il proprio fallimento nella ricerca di un nuovo Presidente della Repubblica. Napolitano individuò nell’accordo tra PD e PdL la soluzione preferibile al guaio di maggioranze inesistenti uscito dalle elezioni – l’altra sarebbe stata tornare a votare – e costrinse a un’alleanza gli alleati più improbabili, consegnando a Letta le chiavi di una macchina con le ruote tutte fuori convergenza e spiegandogli che facendole girare si sarebbero raddrizzate.

Che ha fatto Letta in questi sei mesi, per un’Italia in cerca di grandi cambiamenti e ripartenze? Piccola manutenzione, con quello che aveva – poco – buoni discorsi (che sa fare), e poco coraggio. E, sospettiamo a questo punto, anche poca visione. Spiegare a uno straniero cosa definisca il governo Letta è impossibile. L’idea di Letta dell’Italia sembra essere quella di un paese che ha avuto un incidente di gioco, e va curato per vedere se potrà tornare in campo e giocare bene come prima. Ma sembra non ricordarsi che al momento dell’incidente l’Italia stava già in panchina per gran parte della partita, e quando entrava in campo finiva sempre in fuorigioco. E che questo è il massimo a cui la sua cura omeopatica la possa riportare (poi lui arriva e spiega che no, stiamo ricostruendo, creando modi e approcci nuovi, e deve-finire-il-tempo-di, ma nessuno se ne è accorto).

Questi sei mesi, bisogna ammetterlo, sono stati una specie di proseguimento del governo Monti senza il governo Monti: ugualmente grigi, deprimenti, insoddisfacenti, convalescenti, ma almeno là ci fu per un buon periodo la sensazione che degli interventi drastici e dei cambiamenti di direzione fossero stati presi, e che i ministri avessero delle idee in testa. Sbagliate, in alcuni casi, sbadate in altri, e chissà dove avrebbero portato: ma per diversi mesi sembrò si stesse andando da un’altra parte, con altre persone e altri approcci, almeno. Sembrava diverso. Non ci diede passioni ed entusiasmi, il governo Monti, ma almeno ci convinse che fosse sensato rinunciarci per un po’ e inevitabile fidarsi.

Il governo Letta ci ha rimesso in quella situazione – zero entusiasmi e zero passioni, la stessa sensazione di attesa che qualcosa cambi le cose davvero solo alle prossime elezioni – senza saperci convincere del resto: affidando il grigiore poco esaltante della sua opera a seconde file di partito che finora non hanno mostrato né gran qualità di leadership né capacità di iniziative sovversive rispetto al passato (se non, i ministri del PdL, nell’emanciparsi momentaneamente da Berlusconi: ma è sembrato ne cercassero più indipendenza personale che progetti per il bene comune).

E così, la situazione politica è la stessa identica di un anno e mezzo fa: viviamo il governo – l’istituzione che dovrebbe guidare il cambiamento – come un segnaposto temporaneo, una cosa sullo sfondo, in attesa che nuove elezioni estraggano dal cappello il cambiamento vero (dal quale cappello, a sua volta, non si vedono spuntare grandi orecchie) e con un Renzi che incombe, investito di aspettative ormai eccessive per chiunque. Come allora, c’è un governo che dice di fare delle cose senza essere in grado di spiegarle convincentemente, né di guadagnarsi consensi, c’è il PD che cerca di tenerlo in piedi ma molti suoi elettori si chiedono perché, c’è il PdL che gioca ogni giorno col suo potere di tenerlo in piedi o farlo cadere, c’è un contesto di media maggiori che sanno che un governo poco litigioso al suo interno e troppo sostenuto in parlamento non rende in termine di sensazionalismo e dietrologie, e quindi ci offrono sterili zizzanie quotidiane con cui cercano di trattenere la nostra attenzione.

Si dirà che il risultato elettorale è l’accidente che ci ha conservati in questa situazione: sostituendo ministri passeggeri a ministri tecnici e introducendo il circense spettacolo grillino come ingrediente laterale e divagante. Aggiungeremmo che non era inevitabile, che Napolitano ha preso il rischio di affidarsi alle “larghe intese” e che i fatti sembrano avere dimostrato che quella formula è stata un wishful thinking e oggi è un imbroglio per presentare un accordo di interesse in tempi di rischi grossi. Però, certo, è vero, siamo sempre noi tutti quanti ad avere conservato questo quadro poco incoraggiante e poco motivante: a essere ottimisti, Letta ci smentirà e tra molti anni la storia dirà che certe cose fatte dal suo governo e di cui non ci eravamo accorti si sono rivelate alla lunga decisive; a pensare che però che ci sia bisogno di molto altro per ribaltare le cose di questo paese, questa è un’agonia che tolleriamo con complice rassegnazione.

Foto: Enrico Letta, Palazzo Chigi, 21 ottobre 2013 (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)