shaming
La lingua perduta della moda
«Per le strade distinguevi a metà degli anni ’80 perfettamente un dark da un paninaro, uno che abitava a San Siro da uno che abitava sui Navigli, uno di destra da uno di sinistra, un gay da un etero, uno dentro o uno fuori dal sistema. Era più facile esistere ma era più difficile essere giovani. Il mondo si era velocemente innamorato del classico rassicurante di Armani o del glamour di Versace, ma per sfuggire a questo soffocante abbraccio si erano formati anche molti nuclei di resistenza a Parigi, a Londra, a New York e anche a Milano»

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Il maschilismo pop
«Non ho mai discusso con i miei amici dell’evidente sessismo a cui anche la nostra formazione musicale, tra sentimentalismi e ironie, ci ha abituato, stillandoci in un siero incolore i costituenti elementari: da un’idea di sessualità maschile tanto più virile quanto più incontrollabile e persino violenta. Non ne ho mai discusso perché per molti di loro, e certamente anche per me, questo non è mai stato un problema»

In una mano il forcone, nell’altra il mondo
«Borbottare è lecito, criticare è utile, solo a patto che ci rendiamo conto della sensazionale epoca nella quale noi, non altri, abbiamo messo piede per primi. Abbiamo acceso un fuoco di impensabile fascino, maneggevolezza, comodità, sapienza (volendo). Godiamocelo. Almeno ogni tanto, felicitiamoci con noi stessi»

Indovina chi viene a cena
«Disobbedisco ai neuroni-sentinella e mi iscrivo al giochino social del momento, “preferisci Melania Trump o Rama Duwaji?”, molto praticato nei peggiori siti social d’America»

Purché se ne parli
«Visto che ogni morale è tacciabile di moralismo, forse bisognerebbe agitare, in un mondo così conforme alla stessa regola, il dubbio del conformismo»

L’ascensore è bloccato
«È come partecipare a un gioco che non prevede vincitori: quello che la sociologia chiama “ascensore sociale” è fermo, almeno qui in Italia, da qualche anno»

Il grande coming out del 1984
«Il 2 aprile 1984 i Queen, travestiti da casalinghe inglesi, lanciarono una canzone che era un grido di liberazione: "I Want To Break Free". Poi arrivarono gli Smiths, i Pet Shop Boys e i Culture Club. Ma la vera esplosione arrivò a ottobre, quando uscirono i Bronski Beat, Depeche Mode, Frankie Goes To Hollywood e Madonna. Nel giro di pochi mesi “l’amore che non si può dire”, come lo aveva battezzato un secolo prima Oscar Wilde, si dichiarava orgogliosamente al mondo. Fu la vera nascita del “pride”. Attraverso quelle canzoni l’omosessualità maschile entrava in scena in quanto esplicita produttrice di musica, cultura e immaginario. L’inizio di quell’onda continua ancora oggi, ma è talmente sovrapposta al paesaggio culturale e ai consumi da esserne ormai indistinguibile»
