Amanda Knox è tornata in Italia

Amanda Knox è tornata in Italia. Sono passati 12 anni dall’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2007. Più di quattro anni dal 27 marzo 2015 quando lei e Raffaele Sollecito vennero assolti dalla Corte di Cassazione per non aver commesso il fatto. La Corte stabilì che sarebbe stato anche «assurdo» disporre di un nuovo processo «potendo contare su indizi così labili».

Eppure, anche adesso che Amanda Knox torna in Italia da donna libera, tanti giornali e siti ancora la trattano come «una che l’ha fatta franca». Ricordo i giorni successivi all’assoluzione quando da più parti si diceva «Eh, gli americani», ipotizzando complotti di un’entità mitica e potentissima, gli americani, appunto, che avrebbero fatto assolvere Amanda e il suo co-inputato, Raffaele Sollecito. In molti sostenevano che Rudy Guede (il terzo ragazzo coinvolto in questa storia, arrestato dopo una fuga in Svizzera) fosse stato condannato perché di colore «mentre Knox e Sollecito sono bianchi e ricchi e quindi assolti». Dimenticando che tracce organiche di Guede erano state trovate in abbondanza sulla scena del crimine mentre di Amanda Knox e Raffaele Sollecito niente. Nulla. Dissero, i colpevolisti a oltranza: «Certo, i due hanno cancellato le loro tracce», come se fosse possibile cancellare le proprie tracce di Dna dalla scena di un crimine e lasciare invece tutte quelle di un’altra persona. Guede, il cui iter processuale è stato separato da quello degli altri due, sconta una condanna definitiva a 16 anni di carcere. Ora ha chiesto la revisione del processo.

Nel pensiero comune spesso la Giustizia ha ragione quando condanna, ha torto quando assolve. È come se quella sentenza di assoluzione non fosse mai stata accettata, digerita. Ha scritto Raffaele Sollecito qualche mese fa: «Sono innocente ma mi trattano da colpevole».

E allora vale la pena ricordare che cosa scrisse la Corte di Cassazione di quell’inchiesta e dei processi emettendo la sentenza di assoluzione. E cioè: «Un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose defaillance o amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine». Non solo: «È un dato di indubbia pregnanza a favore nel senso di escludere la loro partecipazione materiale all’omicidio»… la «assoluta mancanza di tracce biologiche a loro riferibili». E ancora: «L’inusitato clamore mediatico» del delitto Kercher e i «riflessi internazionali» non hanno «certamente giovato alla ricerca della verità» provocando una «improvvisa accelerazione» delle indagini «nella spasmodica ricerca» di colpevoli «da consegnare all’opinione pubblica internazionale».

Ripercorrere tutto ciò che accadde dopo l’arresto dei ragazzi sarebbe lunghissimo. Alcuni particolari però vanno ricordati. Ci fu per esempio la presenza all’interrogatorio di Amanda Knox di quella che doveva essere un’interprete e che poi ammise di essere più «un’interprete dell’anima» qualunque cosa volesse dire. E poi c’è la storia del gancetto del reggiseno di Meredith Kercher, ritrovato su un pavimento della casa del delitto ben 47 giorni dopo l’omicidio e dopo che quasi 40 persone avevano percorso in lungo e in largo le stanze della casa. Su quel gancetto venne trovato, secondo le analisi scientifiche, il Dna di Raffaele Sollecito. Dna che non risultava più essere suo, però, già nel processo d’appello. Poi ci fu il ritrovamento dell’arma del delitto, un coltello da cucina si disse. C’era sì il Dna di Meredith Kercher ma era sul manico. Tracce di sangue? Niente. Le uniche tracce sulla lama, si scoprì dopo, erano di amido di patate.

E così via, lungo una storia infinita che ha tenuto in carcere due ragazzi per anni salvo poi dichiararli innocenti.

Disse a Repubblica Claudio Patrillo Hellman, presidente della Corte d’Appello di Perugia che nel 2011 aveva assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito: «Fui praticamente costretto a lasciare la magistratura dopo quella sentenza, nei bar di Perugia dicevano che mi ero venduto agli americani, che avevo ceduto alle pressioni della Cia. I colleghi magistrati mi tolsero il saluto, in particolare quelli che a diverso titolo erano stati coinvolti nella vicenda».

Da allora non sembra che le cose siano molto cambiate.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.