Tutti i voti che mancano

Il tema del Partito democratico è tutto in pochi numeri, “romani” ma assolutamente significativi. Leggerli e capirli è tutt’uno con l’avere chiara la missione per i prossimi mesi, ora che il voto amministrativo (da confermare ai ballottaggi) stabilizza il quadro politico e restituisce al Pd un po’ di fiducia in se stesso e di speranza.
Non sono numeri percentuali. Da Rutelli 2008 a Zingaretti febbraio 2013 fino a Ignazio Marino, le percentuali dei candidati di centrosinistra a Roma città sono quasi invariate: 45,7 per cento cinque anni fa, 45,3 in febbraio, 42,6 ieri.

Guardate però ai numeri assoluti.
Furono 761 mila per Rutelli, prima della batosta subita da Alemanno al secondo turno. Calarono a 715 mila per Zingaretti tre mesi fa, reggendo faticosamente rispetto a un pesante arretramento nazionale. A Marino, in un turno considerato a ragione come una vittoria piena, sono arrivati soltanto 512mila voti. Un elettore su tre perduto in cinque anni.

È chiaro, agli avversari di Marino è andata peggio. Alemanno quasi dimezza il consenso, cosa mai vista per un sindaco uscente. Ma i guai altrui non risolvono il problema del Pd, che sarebbe utile avere in mente e cominciare ad affrontare fin da queste settimane di ballottaggio, approfittando della finestra d’opportunità riaperta dai generosi elettori del centrosinistra.
Perché se nell’ultima campagna elettorale nazionale c’erano già svariati milioni di voti “liberati” rispetto alle tradizionali appartenenze della stagione bipolare (e Grillo riuscì a intercettarne una buona parte, mentre il Pd coltivava solo il proprio orto), ora quell’enorme massa di consensi potenziali e fluidi è ulteriormente cresciuta. È di gran lunga il primo partito del paese, mentre le constituencies tradizionali di centrosinistra e di centrodestra si contraggono (più la seconda della prima) e M5S si lascia sfuggire gran parte della fiducia ricevuta.

Il tema posto da Veltroni ai tempi della fondazione e da Renzi nelle primarie non è calcolo d’opportunità bensì ragione di vita. Recuperare l’unità dell’alleanza a sinistra è solo una parte dell’impresa. Il Pd può conquistare un’egemonia stabile solo se si rifonda e si lancia, allo stesso tempo, alla riconquista dei suoi delusi ma anche alla conquista di tutti gli altri delusi. Ora che lo tsunami rifluisce, l’Italia torna in attesa di un’offerta politica adeguata per forza e novità: è il compito del congresso Pd.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.