Vendola e il voto utile

La reazione di Nichi Vendola allo scambio di complimenti fra Monti e Bersani è più che comprensibile. Le percentuali di Sel non sono buone, la concorrenza di Ingroia è aggressiva, il tipo di sinistra alla quale parla Vendola vede Monti come un avversario, anche in conseguenza del racconto che il presidente della Puglia ha voluto fare di tutto l’ultimo anno di storia italiana: con una destra neoliberista perbene che, per conto dei “poteri forti” ha semplicemente cercato di sostituire un’altra destra neoliberista ormai indigeribile. Facendo però le stesse politiche antipopolari, antisindacali, addirittura «thatcheriane» come ha detto una volta Susanna Camusso.

Avendola sempre messa così, è davvero difficile gestire in maniera credibile una campagna elettorale che molto facilmente potrebbe consegnarci l’obbligo di un accordo parlamentare fra centrosinistra e centro. Vendola si imbizzarrisce, Monti lo imita dalla parte opposta, entrambi appaiono poco sinceri perché lo sono.
Insisto che questo è un caso nel quale parlare chiaro agli elettori avrebbe semplificato il messaggio e portato vantaggi.

Monti sbaglia grossolanamente quando relega Sel al rango di fattore destabilizzante: chi a sinistra non accetta la logica del governo ha per chi votare, tra Ingroia e Grillo. Se sceglie Sel, è perché accetta di stare nel gioco e vuole partecipare alla stagione delle riforme.
Proprio per questo Vendola avrebbe potuto impostare una sua campagna per il voto utile: votateci perché, nel caso verosimile di un accordo obbligato con i centristi, ci sarà bisogno di una sinistra radicale forte, in grado di frenare e condizionare il Pd. Un discorso più pragmatico, che gli elettori di sinistra intenzionati a contare per il governo avrebbero capito benissimo e che probabilmente avrebbe anche orientato su Sel voti che andranno a Bersani.

Invece una volta di più hanno prevalso la paura della concorrenza a sinistra e il tic di innalzare bandiere ideologiche, insieme all’antichissima abitudine (che Vendola condivide con molti dirigenti democratici, e non solo) di non dichiarare ciò che effettivamente si è disposti a fare e ad accettare.
È un tatticismo che non paga più, una furbizia poco furba che finisce per rendere le cose più difficili. Non è un peccato grave, ma se Nichi Vendola si trova oggi in imbarazzo deve prendersela solo con se stesso.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.