Ognuno come gli pare, ognuno come si sente
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Ognuno come gli pare, ognuno come si sente
Michele Serra
Martedì 11 marzo 2025

Ognuno come gli pare, ognuno come si sente

«Sarà dunque, quella del 15 marzo, la piazza di quelli che non ne hanno idea. Eppure vogliono fare qualcosa»

(Michele Tantussi/Getty Images)
(Michele Tantussi/Getty Images)

Non vedo l’ora che tutto torni normale: è il mantra che mi ripeto in attesa della manifestazione del 15 marzo, da me sbadatamente evocata proprio qui, il 10 di febbraio, conquistandomi presso di voi la qualifica affettuosamente derisoria di Peraltro Capopopolo. Ma il mantra giusto, invece, è un altro, e l’ho capito in questi giorni che per me sono stati insoliti (eufemismo) e molto complicati.

Il mantra giusto è: non c’è alcun bisogno di tornare alla normalità, perché tutto quanto già ne fa parte. Fanno parte della normalità anche la guerra, la pace, le rivoluzioni, la Storia, figuratevi una manifestazione di piazza, che quando accade sembra un pianeta in movimento, il giorno dopo un asteroide, l’anno dopo un sassolino. Nel momento in cui l’ho capito, mi sono sentito meglio. Più normale, appunto.

E soprattutto, in qualità di PC, inchiodato al telefono per intere giornate, incrociando le parole, gli umori, i caratteri, i problemi di molte persone potenti e importanti, con le quali mai mi sarebbe capitato di parlare, tutte in una volta, se non mi trovassi in questa singolare contingenza (i giornalisti fanno sempre finta di conoscere tutti ma non è mica vero, e comunque non è sicuramente il mio caso); soprattutto, dicevo, mi sono reso conto che anche loro, le persone cosiddette di potere, sono prevalentemente normali, con problemi normali. Gli alti e i bassi, le incertezze e i dubbi, le amicizie e le inimicizie, le incazzature e le delusioni, la fatica di navigare in un mondo difficile. Un paio mi hanno detto “ti richiamo perché adesso sono stanco morto”, un altro paio “qui non prende il cellulare”, un altro paio ancora (i miei preferiti) “di questo passo non ci si capisce più niente”. Così va la vita, avrebbe detto Kurt Vonnegut. E Kurt Vonnegut ha sempre ragione.

Poi, naturalmente, c’è la normalità normale, quella che già conoscevo, dentro la quale ho vissuto per tutta la vita, ed era già prevedibile rimanesse invariata: la valanga di persone che scrive “io a Roma ci sarò” e non mi chiede altro, tantomeno di dirimere questioni politico-ideologiche che non hanno soluzione da quasi un secolo e non si vede perché mai debba risolverle io; la valanga di persone che non ne sanno un accidente, della manifestazione del 15 marzo, e tantomeno sanno che io ci sono dentro fino al collo. Il signore che mi ferma per strada con un largo sorriso e mi dice: “grazie, grazie di cuore” e io mi preparo alla centesima adesione, e lui stringendomi la mano aggiunge “grazie di cuore per la sua prefazione al libro di Stefano Senardi”, e io lo abbraccerei ma non posso dirgli perché; e sopra tutti il mio vicino di casa, contadino e gentiluomo, che mi telefona per chiedermi se mi ricordo per caso com’è la ricetta dei sarmàle, che sono involtini rumeni formidabili e temibili e li abbiamo mangiati una volta insieme, e io gli rispondo che non me la ricordo ma gliela procuro di certo (lui non ha internet, invidiabile condizione). E vi giuro che mi sono quasi commosso per il sollievo, evviva i sarmàle, ci sono anche loro, mica solo la Storia. Certo, nell’umore in cui mi trovo, un secondo dopo mi sono domandato in che anno la Romania è entrata nell’Unione Europea. Oramai, ho un cervello euroformato, o eurodeformato, vedete un po’ voi.

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C’è la questione delle bandiere, e cerco di farvela breve. L’idea di partenza era che ci fossero solo quelle europee. E già così era un bell’atto di fiducia in una bandiera ancora tutta da sventolare, da sempre ripiegata nei cassetti, per quali e quante sono state le occasioni nelle quali a nessuno sarebbe venuto in mente di sventolarla; e poi ha sganciato la sua bomba von der Leyen, con la sua idea novecentesca, vecchia come il cucco, ottusa, neanche un grammo di fantasia, di riarmare l’Europa nazione per nazione, come se non fosse in piedi il dibattito sulla difesa comune, la protezione comune, spendere meglio quei soldi che oggi, con il massimo sforzo, danno il minimo rendimento.

E allora molti hanno detto: veniamo solo se possiamo portare anche le bandiere della pace, perché la cosa più importante è la pace. E altri hanno detto: veniamo solo se possiamo portare le bandiere dell’Ucraina, perché la cosa più importante è la libertà. Capita che alcuni di questi portabandiera non si sopportino e si considerino avversari politici, e quindi la questione – tutti insieme nella stessa piazza – non è di facile soluzione. Capita anche, però, che pace e libertà siano concetti strettamente intrecciati, anzi indissolubili, essendo ovvio a chiunque che non c’è pace senza libertà (sì, sto parlando dell’orrida pax imperiale e neocoloniale che Trump e Putin hanno in mente per l’Ucraina); e che non c’è libertà senza pace, perché sotto le bombe, o al cimitero, o amputati, o prigionieri di guerra, non ci si sente liberi per niente.

Del resto, per quello che valgono le parole, così recitano le prime righe della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, detta anche Carta di Nizza (per non dire dell’intero impianto del Manifesto di Ventotene, che la precede di quasi sessant’anni).

“I popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Stanno insieme nella stessa Carta, la pace e la libertà, non vedo perché non debbano cercare di convivere nella stessa piazza. Lo so bene, lo sappiamo bene tutti, che ben pochi dei magnifici presupposti ideali sono diventati, a tutt’oggi, teoria e prassi della UE. Lo ha detto, chiaro e secco come una fiondata, poche settimane fa, Mario Draghi al Parlamento Europeo, rivolto ai governanti dell’Unione: «Mi avete detto che non siete in grado di realizzare i valori fondamentali per i quali è stata creata l’Unione Europea. Quando mi chiedete che cosa è meglio fare ora, vi dico: non ne ho idea. Ma fate qualcosa».

Sarà dunque, quella del 15 marzo, la piazza di quelli che non ne hanno idea. Eppure vogliono fare qualcosa. Mia moglie, che a tempo perso mi fa da ghost writer, mi suggerisce di dirlo con questi due versi di Patrizia Cavalli:
Sto qui ci sono e faccio la mia parte
Ma io neanche so cos’è questa mia parte
Dunque alla fine, quanto a bandiere, non mi sento autorizzato a dettare il dress code di una manifestazione politica. Ognuno faccia come si sente. Ognuno la sua parte. Vi aspetto, chi ci sarà, sabato 15 ore 15 in piazza del Popolo, a Roma. Chi non verrà, amici come prima. Ma più saremo, meno i governanti d’Europa si sentiranno autorizzati a dimenticare che l’Europa è pace e libertà. Sta scritto. Proviamo a dirlo, no? Poi si vede che succede.

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Adesso però ci meritiamo, voi e pure io, un risarcimento. Come terapia d’urto rispetto alla soverchiante serietà degli argomenti fino a qui trattati, vi propongo uno dei pezzi di satira più cretini che io abbia mai scritto. Relativo a uno degli eventi più trascurabili dell’intera storia umana, un matrimonio vip (uno dei tanti) al quale la stampa italiana dedicò, incomprensibilmente, tonnellate di articoli. L’anno è il 2015. Ricorre, dunque, il decennale di quello storico evento e di questa relativa satira. Tenetevi forte.

“Stando all’entusiasmo della stampa, che ha dedicato all’evento più spazio che alla questione israelo-palestinese negli ultimi vent’anni, il matrimonio tra Pierre Casiraghi e Beatrice Borromeo, celebrato dieci giorni fa a Montecarlo e proseguito con una grande festa sul Lago Maggiore, è ancora in corso in queste ore. Gli sposi potranno finalmente partire per il viaggio di nozze (che sarà breve e semplice, un week-end in un resort senza particolari pretese ma con una vista unica: è in uno dei crateri di Marte) solo quando la security sarà riuscita a snidare gli ospiti e i giornalisti convincendoli a tornare a casa loro.
L’evento è stato così prestigioso, così sfarzoso, che oltre al consueto cerchio di curiosi che facevano vip watching cercando di fotografare gli invitati, c’era un altro cerchio più esterno, formato dai curiosi che fotografavano quelli che facevano vip-watching. E così via, a cerchi concentrici, fino all’ultimo cerchio, a un centinaio di chilometri di distanza dalla cerimonia, costituito da quelli che chiedevano l’autografo a quelli che erano riusciti a farsi un selfie con persone che raccontavano di avere visto da vicino qualcuno che aveva stretto la mano a uno degli invitati.
Le più belle – Ammiratissime, oltre alla sposa, Cherie di Coburgo con la sorellina Poupette, Garrula Agnelli con le figlie Ridente e Luminosa, Paula di Ramazzino, Violante Pignatelli Pignatoni, Helga di Hoenstaufen, Silviamaria Garattani Peplo, Oltremontana Oltremontani e Pia di Po. I cronisti che sono riusciti a trascrivere correttamente tutti i nomi sono stati ospitati gratuitamente nei garage di Villa Borromeo e hanno potuto dormire, sia pure dopo un accurato lavaggio, nelle Audi degli invitati.
La cena – Quella ufficiale è stata affidata allo chef Mario Pirillo, della trattoria “da Mario” di Marina di Frosinone, una località di recente istituzione a una cinquantina di chilometri dal mare. Pirillo è il geniale inventore del basic cooking, la nuova corrente gastronomica che si oppone alla cucina destrutturata e al suo eccesso di ricercatezza. È considerata il massimo della cucina di tendenza, e i ricchi e le teste coronate di tutta Europa ne vanno pazzi. Il menù prevedeva affettati in busta di cellofan, maccheroni al pomodoro, pollo arrosto (petto o coscia) con patatine fritte, mela o pera, semifreddo al caffè, limoncello in bottiglia caratteristica a forma di limone. Ogni coperto offriva, oltre al tovagliolo piegato a cono, il classico sacchetto di carta con tre grissini torinesi (quattro in alcuni sacchetti, con grande sorpresa e risate degli ospiti), pane a volontà e un camionista, seduto accanto, che spiegava come annodare il tovagliolo al collo e come mangiare tutto con la stessa forchetta. Le bevande erano a parte. Per i più tradizionalisti era comunque prevista, in alternativa alla cena ambitissima e molto spiritosa preparata da Mario Pirillo, il solito menù di uno chef parigino a tre stelle, che è stato preso d’assalto.
Ricerca medica – È andata molto bene la raccolta di fondi a sostegno della ricerca su alcune delle più gravi malattie che funestano la nostra epoca: le borse sotto gli occhi, il doppio mento, il ginocchio rilasciato, il seno floscio, la natica abbassata, il gomito ruvido e molte altre gravissime sindromi che solo squarciando il velo dell’indifferenza potranno, un giorno, essere sconfitte. Generosissime, molte delle signore presenti si sono offerte come cavie per interventi estetici ancora mai tentati, per esempio l’impagliatura integrale usando la tecnica degli antichi egizi, o la sostituzione delle labbra con i nuovi copertoni da bicicletta senza camera d’aria, dunque senza le antiestetiche valvole che fuoriescono.
I vestiti – Vere fragole di bosco applicate sulle fragole finte cucite su preziosa organza color fragola: è l’idea della maison Traveggole che ha vestito la damigella d’onore della sposa, Upupa Traubaker Caulonia, purtroppo aggredita dalle vespe dopo pochi passi. Scollatissimo lo strepitoso bolerino della starlette Maruska Ruzovic, che però purtroppo non era invitata alla festa e si esibiva a pochi chilometri in un localino sul lago”.

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Ora devo rispondere al telefono, mi stanno chiamando Carlo d’Inghilterra, gli ayatollah con il turbante, l’imperatore della Cina e della Cocincina, il maragià di Purnalahore (sospetto il millantatore, ho controllato, Purnalahore non esiste) e Gengis Khan. Niente Zanzare, solo un veloce saluto, dalla settimana prossima, se Dio vuole, torno alla mia vita quotidiana. Mi resta da dirvi che piove e pioverà ancora di più nei prossimi giorni (ma non sabato 15 a Roma) e fa abbastanza freddo da avere bisogno della stufa a legna accesa da mattina a sera – altro che primavera. Mi scuso con i tantissimi che mi hanno scritto, e mi sono mancati tempo e fiato per rispondere: ma come sempre vi ho letto tutti, proprio tutti, e dunque le vostre non sono state parole al vento. Più di prima, più di sempre: in alto i cuori. E se avete una ricetta dei sarmàle migliore di quella che ho letto su internet, mandatemela.