L’Europa, una buona scusa per vedersi
«Ma quello che conta, come ben sanno soprattutto i più stagionati, è provarci, è ritrovarsi con altre persone in piazza, che poi si va sotto i portici a bere qualcosa insieme. Socializzare, insomma, sentirsi comunità. Poi gli striscioni si ripiegano e magari, molti anni dopo, li ritrovi in soffitta bucati dalle tarme»

Beh, un poco me l’aspettavo. Ma non così. Non in questa quantità e non con questo entusiasmo. Le vostre mail pro unità europea (tema sollevato la settimana scorsa in questa newsletter) sono quante ne basterebbero per organizzare un piccolo corteo, anzi nemmeno così piccolo. Non so dirvi quanti di voi hanno scritto per chiedere: dov’è che la facciamo, la manifestazione per l’Europa Unita? Che giorno? A che ora? Se poi portassimo anche amici e parenti ci vedrebbero anche da Marte, e chissà come la prenderebbe male Elon Musk. Lo striscione di Ok Boomer! sarebbe tra i primi, con gente di tutte le età a reggerlo (anche un bel numero di ragazzi, deduco dalle mail), ma quello che apre il corteo non potrebbe che essere:
MAKE EUROPE!
Facciamola, maledizione, prima che sia troppo tardi! Scritta in bianco sopra un bel blu, e stelline gialle quante ne bastano. Sappiamo bene, gli striscioni politici, quante illusioni trasportano, da sempre, lungo le nostre strade. Quelli bene intenzionati, voglio dire, perché di quelli truci e scemi (ho sfilato anche dietro a striscioni truci e scemi) non vale la pena tenere conto, è molto meglio che non se ne sia fatto niente. Rimanendo a quelli pieni di speranza, progresso, giustizia e tante altre belle cose, una ricerca sul tema: “Proporzione tra slogan portati in manifestazione e loro effettiva realizzazione” credo indicherebbe, volendo essere ottimisti, l’uno per cento di successi. Bisognerebbe risalire, probabilmente, alle mondariso e alla lotta per le otto ore per ritrovare qualche vittoria schietta: più o meno come gli scudetti del Genoa.
Ma quello che conta, come ben sanno soprattutto i più stagionati, è provarci, è ritrovarsi con altre persone in piazza, che poi si va sotto i portici a bere qualcosa insieme. Socializzare, insomma, sentirsi comunità. Poi gli striscioni si ripiegano e magari, molti anni dopo, li ritrovi in soffitta bucati dalle tarme. Un mio amico, anni fa, ritrovò una bandiera dei vietcong (rossa e blu con una stella gialla al centro), ma pensò che si trattasse di una bandiera del Bologna sulla quale qualcuno aveva incollato, per eccesso di ottimismo, la stella dei dieci scudetti. La memoria fa brutti scherzi. Meglio, dunque, aggiornare il repertorio. Pensare alla possibilità di nuove bandiere e nuovi striscioni.
In ogni modo: impossibile una cernita delle vostre mail, sono troppe e soprattutto sono, quasi nella totalità, molto simili tra loro. Il classico coro, con buona pace di chi non perde occasione per dirsi “fuori dal coro”, come se i cori non avessero, nella storia della musica mondiale, un ruolo prestigiosissimo, e magnifico da ascoltare. (Mi piace citare, qui, Jovanotti che nella sua ultima Montecristo risolve benissimo, secondo me, l’annosa questione: “Se trovi la tua voce sarà un piacere/anche cantare in coro”).
Prevalgono, nel coro europeista qui presente, l’entusiasmo (stato d’animo, va detto, ultimamente non frequente) e l’adesione all’idea che il compimento dell’unità europea sarebbe la sola, vera, macroscopica novità che la Storia riserva ai cosiddetti progressisti, cioè coloro che ancora credono che il futuro non solo esista, ma possa essere migliore del presente. Facciamo così: pubblico solo, tra le tantissime, la mail più breve in assoluto. Grosso modo, le riassume tutte. È di anonimo. Il caso di dire: una voce tra la folla:
“Europa, Europa, Europa!!! Siiiiii”
Sempre importanti e utili, benché poche, le perplessità e i distinguo. Ho scelto la mail di Sergio, che nel nostro corteo immaginario probabilmente ci verrebbe, ma distribuirebbe volantini che mettono qualche puntino sulle “i”.
“Sono un operatore sociale in uno sportello a bassissima soglia, lavoriamo soprattutto con le persone senza documenti all’interno di un circolo Arci. Sono stato convinto per molti anni di quello che dici nella newsletter di questa settimana. Convinto europeista, innamorato dell’idea, sempre commosso ogni volta che mi viene in mente Antonio Megalizzi. Poi ho incontrato, nei volti delle persone che conosco, la Fortress Europe. Ho conosciuto le vittime delle politiche derivanti dagli osceni accordi con le oligarchie del nord Africa, le politiche di respingimento collettivo vietate dalla corte europea dei diritti dell’uomo (siamo fantastici, le vietiamo e le abbracciamo con lo stesso entusiasmo). Tu parli di Stati Uniti d’Europa. Il problema è che tipo di megastato vogliamo fare. Una fortezza? Una città sulla collina che sembra perfetta ma i cui meccanismi vengono alimentati dal sangue dei poveri? Sono molto pessimista. La forza è tornata l’elemento principale delle relazioni internazionali. Ho provato a rigettare quella Realpolitik che mi era stata insegnata in facoltà (ho studiato geopolitica a Milano) ma adesso mi sembra che Mearsheimer e Walt siano tornati di moda”.
Sergio Petrona Baviera
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Mi ferma per strada in via Tadino, a Milano, un signore gentile. “Io regalo parole”, mi dice, e non capisco bene che cosa vuole dire. Si chiama Matteo e aggiunge: “Ne ho regalata qualcuna anche a Gianni Mura, gli è piaciuta, l’ha messa nei suoi articoli”. Il nome di Gianni Mura apre tutte le mie porte. Dico a Matteo che il Mura abitava qui a due passi, in via Settala, dove ancora abita la Paola. Lui mi risponde che lo sa bene, si vede che si incontravano. (A Gianni è dedicata una delle querce più alte del mio bosco, ci passo davanti e lo saluto praticamente ogni giorno. C’è scritto solo, su una piccola targhetta color corteccia: “Gianni Mura, giornalista, 1945-2020”).
Matteo, prima di salutarmi, mi ha regalato questa parola: Egoevo. Non so se scriverlo tutto attaccato oppure Ego Evo, mi piace in tutti e due i modi. Siamo nell’Egoevo. Ci siamo in pieno. Noi occidentali, perlomeno: perché delle persone che vivono nel resto del mondo noi sappiamo poco più di niente. Non mi ricordo se ve l’ho già detto, ma una volta ho fatto i conti, proprio con la calcolatrice: i cosiddetti “occidentali” (americani, sudamericani, europei, e ci ho messo dentro anche giapponesi e sudcoreani, come protettorati d’Oriente…) sono circa un miliardo e quattrocento milioni di persone. Siamo più o meno un sesto dell’intera umanità. Chissà in che evo vivono, gli altri cinque sesti dell’umanità (più dell’ottanta per cento del totale…). Matteo, la prossima volta che ci incontriamo in via Tadino devi dirmi in quale evo vive il resto del mondo.
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Trasportando di qua e di là casse di libri, mi capita tra le mani, dopo un sacco di tempo, Breviario comico, una raccolta di mie satire sull’Espresso negli anni Zero del terzo millennio (2001-2010). Apro a caso e ritrovo una cosa su Harry Potter che mi fa ridere parecchio (lo so, non è elegante ridere delle proprie spiritosaggini, ma in mia difesa posso dire che a volte mi rileggo e non rido per niente). Il fantasy non è mai stato tra i miei generi preferiti, e si capisce leggendo quanto segue. Chiedo perdono ai fan del valoroso Potter. Il pezzo è del luglio 2007.
“Non è vero che il settimo libro della Rowling sarà l’ultima avventura di Harry Potter. La saga del maghetto è destinata a continuare. Secondo indiscrezioni, l’ottavo volume si intitolerà ‘Harry Potter ha stracciato le palle’. Ma sarà solo una fase interlocutoria per poi riprendere con nuova lena le magiche avventure del giovane Harry e dei suoi inseparabili amici Pinko, Euphemia e Baltazar, oppure Karl, Ginepra e William, o forse Taddeo, Clarissa e Gigi, in questo momento non ricordo bene. Ecco gli snodi decisivi dei prossimi volumi, che in tutto dovrebbero essere trentasei.
Harry Potter e la spada incandescente. Harry è ormai un giovane adulto, e nel castello di Blutinor frequenta la facoltà di Scienze Occulte preparando la sua tesi ‘Come piegare i cucchiai premendoli fortissimo contro il tavolo’. Ma il malvagio professor Gnaffer, docente di palline volanti, lo odia perché intuisce che le capacità del ragazzo sono eccezionali, e teme che Harry e i suoi amici scoprano che nel suo armadietto egli nasconde il Mantello di Trazminagore, appartenuto al Re di Milpanwore per condurre il popolo dei Goreganz alla conquista della città segreta di Wissoreland. A questo punto ai lettori viene mal di testa ma la Rowling, implacabile, introduce anche tre nuovi personaggi: lo stregone Uz, il gran sacerdote Pakimpoh e la rana gigante Xenilla. Nel frattempo Harry, che nel precedente episodio aveva dato il primo bacio, ha la sua prima copula con l’inseparabile Ginepra, o forse Euphemia.
Harry Potter e la spada arrugginita. Che succede nelle cantine di Blutinor, dove l’ambiguo oste Macillus custodisce la Bottiglia Invisibile? Non ce ne potrebbe fregare di meno, ma Harry, che nel frattempo è diventato supplente di Estrazione di conigli dal cilindro, intende assolutamente scoprire che cosa si cela nella Bottiglia. Che sia appartenuta a Blork, l’orco mellifluo? O forse era stata portata in dote da Gustava, regina delle fate, a Oswaldo, principe degli snorrior? E come mai, pur essendo invisibile, la bottiglia è piena di candeggina? Nel frattempo Harry, dopo il primo bacio e la prima copula, ha anche il primo rapporto omosessuale con il gigantesco centauro Gozillo, che lo penetra con il mitico Fallo di Stakkon, lungo sei metri e con un menhir rotante sulla punta.
Harry Potter e la spada di peluche. Harry ha ormai trent’anni, ed è docente incaricato di Rospi a molla. Tutti gli chiedono perché mai non fa un lavoro normale, tipo impiegato di banca o geometra, ma lui spiega che non potrà lasciare Blutinor finché non avrà scoperto il segreto di Jolanda, il bidello transessuale che si nutre di carne umana davanti a tutti. Harry sospetta che sia cannibale, ma come dimostrarlo? Con l’aiuto di Jessica, o Ginepra, o Euphemia, nel frattempo diventata sua moglie, Harry si trasforma in tenia e penetra nell’intestino del bidello cannibale, sgominandolo. In questo episodio, dopo il primo bacio, la prima copula e il primo rapporto omosessuale, Harry è protagonista della sua prima orgia, con pipistrelli, baldracche alate, cavalli da tiro e pitoni ammaestrati.
Harry Potter e la spada in leasing. Sarà probabilmente l’episodio finale della saga. Harry, ormai diventato preside di Blutinor e padre di sei figli, due suoi e quattro nati dall’unione di Ginepra, o Clarissa, con creature misteriose (l’Idraulico, il Lattaio, il Gasista e un Pompiere), decide di affrontare nella sfida finale il malvagio Kunzellas. Il terribile duello, a base di incantesimi raffinatissimi e di calci nei genitali, si conclude con la morte di entrambi. Ma Harry resuscita grazie alla pozione di Skamphoralelly, portata da Uosper sul dorso del mulo magico Mivgaòl, venuto dalla Contea di Hymps su suggerimento di Vermaster, che era stato avvertito dai Buzones grazie alla profezia di Kowox, figlio di Pallumen, re di Bersopez, sceso dai monti Restonzi. E adesso, vediamo se siete stati attenti. Ripetete tutto ad alta voce”.
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Mi chiede Franz se possono entrare a far parte delle Zanzare anche i manifesti. Perché no? Questo, già segnalato anche sul Dolomiten, è della Lega di Bolzano:
RACCOLTA DI FIRME A SOSTEGNO
DELLE FORSE DELL’ORDINE
È un refuso di probabile matrice dialettale; ma potrebbe anche indicare che la nota vocazione securitaria della Lega ha qualche ripensamento. Le forse dell’ordine sono più dubitative delle forze dell’ordine.
Pesantemente allusivo, se visto dalla parte degli amministratori locali, questo titolo del Quotidiano Nazionale, pagine Amiata-Valdichiana, segnalato da Daniele:
PALIO DEI CIUCHI, È BAGARRE
LA POLITICA FACCIA UN PASSO INDIETRO
Venerdì ha nevicato anche qui. E oggi c’è il sole, colpi di vento freddo scuotono gli alberi, nuvoloni neri passano e vanno, il tempo è cangiante e l’inverno alle corde. I proverbi sono quasi tutti cretini, ma siamo più o meno alla vigilia di “marzo pazzerello, guarda il sole e apri l’ombrello”. È quel periodo dell’anno che uno dice: tra poco è primavera, ma si sbaglia. Per un paio di mesi si rimane in bilico, il freddo non molla, non fate come me che a marzo, appena il sole diventa un poco meno evanescente, vado in giro in camicia e golfino leggero, prendo un gran freddo e mi do dell’idiota. Ci sono cose che, a settant’anni, le fai identiche come se ne avessi ancora sedici, non è una cosa che conforta, dal punto di vista della maturazione dell’essere umano.
Per salutarvi devo confessare di avere visto pochissimo Sanremo. Non per scelta, è capitato così. Mia figlia mi ha segnalato con favore Achille Lauro, in effetti niente male. Io ho decisamente un debole (artistico!) per Francesca Michielin, ma la canzone, quest’anno, non è all’altezza.
Non ho visto Olly e non ho sentito la sua canzone, in compenso ho visto Parthenope di Sorrentino e mi è piaciuto assai. La sequenza nei Bassi (tre minuti? quattro?) vale due o tre serie di Gomorra. Mi rimane solo il tempo di dirvi: in alto i cuori. E copritevi, che fa ancora freddo.




