Che fine hanno fatto gli albanesi?

Ve li ricordate gli albanesi? Arrivarono all’improvviso, 25 anni fa. Vennero tutti insieme. Prima non c’erano e poi, di colpo, erano tutti qui. Vennero su delle navi ed erano talmente in tanti che le navi quasi non si vedevano più. Come un albero di Natale fatto bene, con le decorazioni, le palle luccicanti, le luci belle che lo ricoprono tutto e tu non vedi più l’abete sottostante. Gli alberi di natale ricchi. Ma non erano ricchi, gli albanesi, erano una montagna di persone povere, stavano aggrappati ovunque. Erano tanti gli albanesi ed erano venuti tutti qua? «E adesso?» dicevano i giornali e dicevamo un po’ tutti.

«E adesso che ne facciamo degli albanesi? Dove li mettiamo, come si sistemano? Ce l’abbiamo il posto? Non sarebbe meglio rimandarli a casa loro, in Albania?» Alcuni li rimandarono, ma tornarono. «Oppure, se proprio bisogna fare qualcosa, non sarebbe meglio aiutarli a casa loro che così non stanno a venire qui? Perché qui da noi abbiamo già tanti problemi nostri e non possiamo metterci ad integrare albanesi». E poi, dicevano tanti, provaci te a integrare un albanese. «Perché gli albanesi sono albanesi: lo sapete che nel 300 un albanese ha pestato un piede ad un altro albanese e da allora si uccidono regolarmente tra di loro di padre in figlio, di nipote in nipote, per vendetta? E si ammazzano pure tra cugini. La vendetta albanese, altro che integrazione. Sono violenti gli albanesi, sono cattivi. Altro che integrazione: questa è un’invasione, una minaccia, un pericolo e dobbiamo difenderci». Erano dappertutto, gli albanesi: sui giornali, nei porti, ai semafori, in cima alle nostre preoccupazioni.

Adesso, pensateci, sono spariti. Quand’è stato che se ne sono andati? E dove sono adesso?
Sono ancora tra noi. Sono 482.959. Sono la comunità di cittadini extracomunitari più numerosa presente sul territorio nazionale: solo i marocchini sono di più, ma di poco.

Però, siamo onesti, gli albanesi sono spariti. Non sono più nei giornali, nei porti aggrappati alle navi, in cima alle nostre preoccupazioni. L’ultimo albanese di cui ho letto su un giornale era Altin Prenga, un cuoco famosissimo. Lui lo racconta: che è arrivato in nave, che si ricorda il giorno in cui ha deciso di partire. «Un mio compagno di scuola, passando in macchina con suo fratello maggiore, mi ha urlato se volevo andare in Italia». Corre a dirlo a casa: «Mia madre piangeva, mentre io mi sono preparato in un’ora e ridevo facendo il coraggioso. Appena ho girato le spalle alla mamma, però, le labbra mi tremavano in un misto di dolore, gioia ed emozione». Altin racconta del peschereccio su cui è salito insieme ad altre 150 persone, ricorda la puzza del gasolio e quella del vomito. Racconta di aver lavorato duro nelle cucine dei ristoranti italiani, cominciando come lavapiatti. Era “clandestino”. Lo racconta Altin, perché è la sua vita, gli piace farci partecipi di quello che ha sopportato per diventare quello che è diventato. Di avercela fatta. Ma adesso di questo a noi sembra importare poco. Adesso da lui vogliano sapere solo come impiatta.
Ci siamo dimenticati che è albanese. Non ci importa più degli albanesi. Che fine hanno fatto gli albanesi?

In questo paese sono cresciute intolleranza e fastidi. Ma non si trova più uno che faccia un po’ di razzismo contro gli albanesi. Nel depliant per il Fertility Day, quello con i buoni da una parte ed i brutti e cattivi dall’altra, tra i cattivi non c’era neanche un albanese. È un’ingiustizia.

Com’è che sono spariti gli albanesi? Si solo diluiti? Si saranno mica integrati? Se incrociamo i dati si capisce che hanno cominciato a sparire, gli albanesi, dalla crocefissione mediatica, dal centro del problema, dal continuo soffriggere su “cosa ne facciamo”, quando – semplicemente – sono cambiate alcune leggi e andare e venire dall’Albania all’Italia è diventata una cosa un po’ più normale. Che si poteva fare comprando un biglietto e salendo su un traghetto. Una nave normale. In cabina o posto ponte. Non una nave sommersa di corpi e a rischio di affondare. Perché affondavano anche le navi degli albanesi. E morivano, gli albanesi.

Adesso non muoiono più. Vanno e vengono, si muovono. Aprono ristoranti, come Altin Prenga, impiattano.
Così possiamo dire che l’integrazione più difficile dei nostri giorni, la possibilità di integrazione di chi arriva da un altro luogo cambia un po’, smette di essere un problema, quando dai luoghi si può andare e venire.

Che integrazione è andare e venire. Umanamente, banalmente, con il mal di mare ma senza morire.

(Grazie ad Andrea Segre per la domanda sugli albanesi)

Massimo Cirri

Da venticinque anni divide le giornate in tre: psicologo al mattino; conduttore radiofonico (Radio Popolare, poi a Radio2 Rai con Caterpillar) al pomeriggio. La sera, spesso, è impegnato come autore teatrale.