La classe media ingannata dalla demagogia

Nel suo editoriale di domenica scorsa, Walter Veltroni incita la sinistra a non indugiare, a riscoprire l’importanza dell’innovazione politica e del riformismo per dare risposte a quella parte impaurita della classe media che sembra trovare rifugio nei messaggi dei demagoghi contemporanei. Veltroni, si sarebbe detto, storicizza il tema, identificando tre spartiacque: il 1989, il 2001, e il 2008, tappe in cui è nato un nuovo mondo, che è poi entrato in crisi. Il suo pezzo mi ha suscitato alcune domande, ma parto da una convinzione: ormai è chiaro che nel 2008 è finita un’epoca, senza che una nuova sia arrivata. Ricordiamo che dopo la crisi finanziaria, paesi e governi, che avevano esaltato per trent’anni il libero mercato come panacea, dovettero rapidamente far intervenire lo Stato per salvare banche (dunque risparmi: no facili populismi), fabbriche di automobili, altre istituzioni economiche. Quell’anno fu distrutto il mito dello Stato minimo che aveva sorretto i trent’anni precedenti. Con esso ne distrusse un altro: quello che nel mercato chi sbaglia paga sempre. Perché se alcune banche in quanto tali furono cancellate dal panorama, il senso che rimase a tutti fu di un fallimento collettivo in cui non c’erano responsabilità personali: eppure molte condizioni personali, dopo quell’anno, peggiorarono. Si è rotto di colpo un paradigma politico e un vincolo di fiducia nel sistema che ha aperto gli argini al mare di sfiducia che oggi sembra invadere le nostre città.

Attenzione: i trent’anni fino al 2008 videro l’espandersi della democrazia nel mondo, l’uscita di un miliardo di persone dalla povertà, progressi tecnologici, culturali ed economici (meno in Italia per ragioni che ho discusso altrove, e per questo Grillo arrivò prima degli altri). Ma nel 2008, l’equilibrio di quel tempo è finito, inutile (politicamente) spiegarne i successi, giusto cercarne i limiti. Tuttavia, il pensiero e la politica progressista si pongono oggi contro una alternativa che ora sembra davvero chiara.

È troppo presto per sapere nel dettaglio cosa farà l’amministrazione Trump, quello che sappiamo è che ha messo su finora una squadra reazionaria in campo economico, sociale, culturale, come non se ne erano mai viste. Sempre sbagliato, anche con gli avversari, dare giudizi sulle persone: bisogna far parlare i fatti. Ma le parole sentite finora non lasciano presagire nulla di positivo. Una cosa però abbiamo imparato, spero definitivamente. Gli elementi di “novità” che i demagoghi mostrano nel loro stile, da Trump a Grillo passando per Farage, Le Pen, eccetera, fatti di insulti, menzogne, e paranoie complottiste, sono solo cortina fumogena per una politica di chiusura reazionaria che non è nuova affatto, ma storicamente l’istinto di tante persone nei momenti di incertezza. Questo si vede in tutti i luoghi, dagli USA, alla Gran Bretagna, fino a Roma o Torino, dove i demagoghi sono andati al potere.

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Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_