Fenomenologia di Rosy Bindi
Rosy Bindi ha parecchi pregi rari tra i politici nazionali: è intelligente, non è ignorante, è onesta, sa parlare, non è demagoga. Potrebbe essere un pregio anche la sua solida convinzione delle proprie ragioni, l’indifferenza al dissenso, se si accompagnasse a una disponibilità a ripensarle, rivederle, discuterle, capirne la natura, accettare punti di vista diversi e includerli nella propria visione delle cose.
Invece Bindi mostra assiduamente di essere anche una persona rigida, “di principi” nel peggiore senso del termine, quello per cui le tue idee a un certo punto perdono contatto con la conoscenza del mondo e traggono le loro ragioni solo dal fatto che sono le tue idee e lo sono sempre state. E in quei casi, i suoi pregi diventano difetti e la sua capacità dialettica deve ricorrere a inganni e frasi a effetto per sostenere tesi fragili.
Nel suo discusso confronto con dei “contestatori” alla festa dell’Unità di Roma – in cui confesso che ho solidarizzato con lei su quelli che sembravano essere le espressioni e i modi dei contestatori – Bindi ha fatto una bella figura tra gli appassionati dell’esibizione di forza, che in Italia ormai sono moltissimi (me compreso, per quanto cerchi di trattenermi) ma ha appoggiato l’esibizione su un paio di argomenti inconsistenti.
Il primo, perentorio e definitivo, è quello che sostiene che il matrimonio gay sia incostituzionale. Ora, questa tesi avrebbe bisogno di maggiori e puntuali argomentazioni. Qual è, nella formulazione della Costituzione sulla famiglia, il termine, il passaggio, che è palesemente contraddetto dall’ipotesi che si possano sposare due persone dello stesso sesso? E quali sono le ragioni di questa contraddizione? Bindi queste cose non le dice mai, non le affronta mai, e mi chiedo persino se ci rifletta: perché sa che se lo facesse le cose diverrebbero più complesse, si dovrebbe ricorrere a interpretazioni, si scoprirebbero zone grigie, e ci sarebbero infine armi meno forti per sostenere il suo pensiero, rispetto a: incostituzionale. E a quel punto si svelerebbe un’altra fragilità della sua obiezione, ovvero il fatto che (per parafrasare il suo frequente “non è Renzi a decidere se si fanno le primarie”) in Italia non è Bindi a decidere cosa sia incostituzionale e cosa no, e che se il tema è oggetto di tanto confronto, e tante persone anche competenti hanno un’opinione differente dalla sua, forse è il caso di verificare, approfondire, nelle sedi competenti e con una discussione attenta. Invece, come dicevamo, Bindi non è familiare con questo metodo: una volta che di una cosa si è convinta lei, non sono necessari né utili altri pareri e informazioni, né fornire elementi di conforto alla sua convinzione.
Il secondo argomento ingannevole usato da Rosy Bindi riguarda un tema più ampio, ovvero il PD e la pluralità di opinioni che deve contenere. È uno dei trucchi dialettici più comuni e usati, quello che occulta la possibilità di avere torto e rimuove il confronto in nome delle “opinioni diverse”. Ieri persino Pierferdinando Casini ha difeso le stupidaggini che aveva appena detto sul matrimonio gay “violenza della natura” ricorrendo al rispetto di opinioni diverse. Ma le opinioni diverse non sono tutte uguali e tutte ugualmente fondate e tutte ugualmente rispettabili. Se la tua opinione è sbagliata, se è sciocca, se è ignorante, se è contraddetta dai fatti, non ha lo stesso valore di una più competente, più fondata, più aderente alla realtà, più rispettosa degli altri: e il “pluralismo” (compreso il famigerato “pluralismo dell’informazione”) è diventato da tempo un alibi per trascurare qualunque ricerca di qualità e verità e correttezza, e avallare ogni opinione come nobile o giusta in quanto tale. Invece no, e quando una tesi seria e sensata e proficua raccoglie consensi e raduna più persone e convince di più, è meglio. Il giorno in cui tutti nel PD saranno favorevoli al matrimonio gay, non sarà un brutto giorno; ma nemmeno il giorno in cui fossero tutti contrari, se ci pensate.
Quindi, un conto è sapere che un grande partito di centrosinistra deve realisticamente coinvolgere persone e opinioni anche molto diverse, altro è rivendicare questo come una giustificazione di qualunque dissenso e lontananza tra queste opinioni, e addirittura un’ambizione da coltivare, confondendo la varietà delle culture e degli approcci con la varietà delle conclusioni (il problema del pensiero unico cosiddetto, è che è imposto, forzato: un pensiero unico libero, come è quello che abbiamo contro la schiavitù, non ha niente che non va). Ha ragione Bindi a chiedere che il PD non sia solo un partito di sinistra, ma “plurale”: ma questo non rimuove minimamente la necessità che qualunque scelta sia giustificata e aderente a un’idea condivisa sui diritti delle persone; non rimuove minimamente la necessita che per decidere di togliere ad alcuni l’opportunità di sposare la persona che amano, ci vogliono giustificazioni assai più solide che non “la pluralità delle opinioni” e la “sensibilità cattolica”. Non è la “sensibilità cattolica” quello che il Partito Democratico ha voluto accogliere quando ha deciso di non essere solo un partito di sinistra, ma di restare un partito laico: sono persone e idee capaci di arricchire il suo progetto e migliorare il paese con maggiore e più vario patrimonio di oculati e argomentati punti di vista, figli di culture, intelligenze e generosità. Quelli che sono mancati ai muscolari, affascinanti e superficiali interventi recenti di Rosy Bindi.
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