Abbi dubbi

Mi meraviglia che uno esperto e che ne ha viste tante come Mario Sconcerti snobbi paternalisticamente le critiche di Buffon alle distorsioni del sistema mediatico-giudiziario con il superficiale e diversivo argomento “il problema è un altro”, “il male è il reato non chi lo racconta”. Come se Buffon o qualcun altro di noi pensasse che raccontare un reato sia male: si chiama straw man argument, ne abbiamo parlato altre volte perché è abusatissimo nella dialettica ingannevole corrente.

Invece un conto è rimproverare eventualmente Buffon perché trascura – e ne avrebbe la responsabilità – gli imbrogli del calcio, altro è ritenere che questi rendano lecita ogni scorrettezza e irregolarità nell’affrontarli: ci siamo già passati e ci passiamo ogni giorno, in un paese che ha fatto della deregulation da una parte, e del fine che giustifica i mezzi dall’altra, le sue speculari e complementari armi di distruzione delle regole.

La frase “il peccato sta in chi lo commette, non in chi lo racconta” – usata da Sconcerti – è un inganno: perché può capitare che anche chi racconta commetta peccato (non a caso esistono delle regole anche per il giornalismo, e scommetto che quando a Sconcerti viene imposto un embargo su una notizia o chiesto che un’informazione resti riservata, lui giustamente obbedisce), e soprattutto perché l’obiettivo primo di Buffon non sono i giornalisti. E un giornalista che piuttosto difende i giornalisti rivela un certo egocentrismo corporativo: invece è soprattutto colpa di qualcun altro, che dovrebbe avere attenzioni e cautele molto maggiori di quelle dei giornalisti, se qualunque sillaba pronunciata da Buffon in contesti giudiziari ufficiali e riservati, se qualunque microtappa di un’inchiesta, viene tempestivamente esibita al mondo. La connivenza procure-cronisti che mette in piazza per ragioni strumentali informazioni precarie, parziali, affrettate, rischiose, infamanti-e-poi-vediamo, a volte false, non l’ha inventata Buffon né la invento io. Perché la memoria è più fresca, cito solo la “moldava” di Schettino, protagonista di un romanzo di gossip diffuso ad arte da chi accusava Schettino e raccolto con eccitazione erotica da gran parte dei media, con rare eccezioni che lo hanno meritoriamente sbugiardato. Ma la storia e l’attualità giudiziaria italiana sono fatte tutte di cose così.

E l’altra cosa di cui è fatta la storia italiana è l’idea che se c’è un male è giusto affrontarlo con le sue stesse armi, i metodi spicci, il chiudere un occhio, il non sottilizzare, il ritenere ugualmente buoni tutti quelli che lo combattono, il negare ogni errore o violazione: è stata un’idea devastante finora (nella storia, poi, è alla base delle scelleratezze totalitarie o comuniste), e i risultati si vedono. Ha reso molti buoni simili ai cattivi, ha reso i tutori delle regole poco credibili, ha fatto perdere consensi ai partiti che avevano scritto cose giuste nei loro principi. Ha reso tutto uguale, e legittimato i qualunquismi.

C’è un modo di dire assai efficace e che possiede una certa astronomica bellezz,a che però è stato a sua volta fatto proprio dagli ingannatori dialettici: avrebbe potuto starci nel commento di Sconcerti. È “quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Ed è vero che bisogna saper distinguere la luna dal dito e capire cosa è più e cosa è meno importante. Ma bisognerebbe cominciare a introdurre nei nostri linguaggi una variante: “quando il dito sudicio indica la luna, il saggio guarda la luna ma tiene d’occhio anche il dito”.

“Questo è il momento sbagliato per avere dubbi”, scrive Sconcerti.
No. Non è mai momento sbagliato per avere dubbi. E una volta, erano i giornalisti quelli che se li facevano venire e li esprimevano: non i portieri.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).