Vediamo di capirci

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).

Il Foglio di oggi pubblica un articolo per dire che ci sarebbe di fatto un esagerato clima di persecuzione nei confronti degli stipendi dei parlamentari a cui gli stessi vilmente non si ribellano. È un po’ vero. Intanto i giornali stanno trattando il tema “alla rottweiler”, non nel senso che sono dei mastini dell’inchiesta ma in quello per cui ogni tema ha un suo periodo di moda giornalstica, come quando sembrava che tutti i bambini d’Italia venissero divorati dai rottweiler. Adesso improvvisamente lo spazio scandalo per i costi della politica pare ineludibile, come quello delle previsioni del tempo, e apre le riunioni di redazione: “che abbiamo oggi sulla casta?”, poi passerà. Ma a parte questo, è anche vero che in molti ci siamo chiesti – prima di far partire l’indignazione di routine – se le cifre di cui leggiamo siano adeguate o no a quell’impegno e a quel che implica. Per esempio, ieri ho letto alcuni contestare i rimborsi telefonici ai deputati, e francamente mi è sembrato eccessivo: qualunque azienda efficiente fornisce telefoni e traffico ai suoi dirigenti, per l’ovvia ragione che quello è uno strumento di lavoro importante, così come fornisce loro uffici e traffico internet, eccetera. Non si può pensare che un deputato debba valutare se fare una lunga telefonata di lavoro importante o no, magari dall’estero, per via del fatto che gli costa. E in generale, è sciocco misurare gli stipendi dei parlamentari su quelli della maggioranza dei lavoratori “normali” e trovarli indecorosi se li superano: è un lavoro diverso, particolare, straordinario, delicato e importante. È giusto che sia un lavoro pagato “adeguatamente”, una volta che ci accordiamo su cosa voglia dire “adeguatamente”.

Qui metto un accapo, per dare modo al commentatore sbrigativo che può andare nei commenti a tuonare contro la mia difesa della casta, senza leggere il resto.

Il problema degli stipendi dei parlamentari non è infatti abbassarli al livello del mediocre lavoro compiuto da molti di loro, ma innalzare il livello di quest’ultimo. DEVE essere un lavoro diverso, particolare, straordinario, delicato e importante. Deve essere vissuto così, condotto così, e l’attuale caccia allo stipendio si spiega umanamente con il penoso e mediocre esempio di qualità e capacità dato dalla maggioranza del parlamento in questi anni. Ma se un dirigente d’azienda fa male il suo lavoro, non gli si riduce la paga, lo si sostituisce o si cambiano i modi con cui è stato scelto. In generale.
Ma nel particolare, vengo al Foglio: mi sono chiesto anch’io se quello dei parlamentari non sia uno stipendio “giusto”. Può anche darsi che lo sia, o che per poterlo essere sia da abbassare in misure non così eclatanti (soprattutto sono da cambiare i criteri dei rimborsi forfettari, che nessuna azienda seria permetterebbe). Il punto è un altro: è che di questi tempi lo si sta chiedendo alla maggioranza degli italiani di rinunciare a uno stipendio “giusto” per il proprio lavoro, e moltissimi italiani lavorano in condizioni economiche che non sono per niente “giuste”. È un criterio che si sta facendo saltare, ed è forse inevitabile o “giusto” che salti per un po’, date le condizioni.

Quindi se il Foglio vuole dedicarsi ad accademiche discussioni sul sesso degli stipendi, sono benvenute: ogni riflessione teorica è proficua. Poi però, per essere pratici, SI INTERVIENE SU QUESTO DANNATO SISTEMA DI PRIVILEGI E LO SI CAMBIA PERCHÉ SÍ, perché stiamo cercando di ricostruire una credibilità delle classi dirigenti e delle istituzioni, perché bisogna guadagnarsi la fiducia, dimostrarsi all’altezza, i Primi per primi. E perché “la gogna” non è stata abolita nel Medioevo dai condannati ma dopo il Secolo dei Lumi, dagli illuminati.