Non lasciate soli i telecronisti Rai

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).

Quando la settimana scorsa i teppisti al seguito della nazionale serba a Genova hanno impedito che si giocasse la partita con l’Italia, la diretta su Raiuno ne è stata a sua volta travolta. La trasmissione è diventata forse persino più spettacolare di un primo tempo delle qualificazioni, nella tensione di quello che stava succedendo e nel magnetico orrore che quella banda di delinquenti fascisti emanava. E i cronisti sportivi si sono trovati a raccontare tutt’altro rispetto alla loro routine.

I telecronisti Rai sono stati già criticati molte volte, e ancora assai durante gli ultimi mondiali. Bisogna avere anche un po’ di indulgenza, per una volta. Non immaginano di dover conoscere la storia europea degli ultimi decenni, quando si apprestano a commentare novanta minuti di fughe sulla fascia e dubbi fuorigioco: e quindi finisce che confondano il saluto nazionalista serbo a tre dita con un “tre a zero” mimato, e sfugga loro come a molti di noi il confronto tra i fedeli della tigre Arkan e l’attuale governo serbo. Finiscono col dire banalità che saprebbe dire ogni spettatore, e ripetere pompose espressioni di sdegno (la parola “facinorosi”, poi, esiste solo per queste occasioni).

E la verità è che non dovrebbero essere lasciati soli a raccontare di cose su cui in Rai ci sono ottime competenze (che non capiscono un accidente di calcio, magari). Succede un guaio, e la linea passa al Tg dove qualcuno si ricordi della Bosnia, di Bolzaneto e del Montenegro, e il commento si fa saggiamente insieme.