Renzi, il Pd e la guerra

Ieri, sotto un cielo finalmente sgombro, azzurro, in una piazza Duomo traboccante di colori come una spiaggia romagnola, attraversata da gente di tutto il mondo che si scattava foto di fronte alla facciata gotica, ho per caso incrociato una vietta che si trova proprio a lato del Duomo, tra il Museo del Novecento e lo store Mondadori. Una vietta anomala, anzi direi amena, che si chiama via Marconi, dove ci sono delle belle panchine di pietra. Ho notato su una di queste panchine un’anziana signora araba, vestita di nero, con l’hijab e gli occhiali scuri, e dei bambini intorno che mangiavano un gelato, scherzavano, e si godevano il sole ancora alto e il piccolo tripudio di luci delle sei di sera. Mi sono detto: “Saranno turisti, ricchi turisti arabi, di ritorno dallo shopping, dove si saranno mescolati per tutto il pomeriggio a tanta altra gente, di ogni parte del mondo, ugualmente alle prese con gli ultimi saldi in corso Vittorio Emanuele”. Poi ho visto una camionetta della polizia e dei manifestini appiccicati alle colonne che delimitano lo spiazzo pedonale. I manifestini annunciavano, per il giorno di mercoledì scorso, un presidio contro i bombardamenti su Gaza, indetto, tra gli altri, da ARCI Milano, ACLI Milano, Emergency Milano. “E io non ne sapevo nulla”, ho pensato. E neppure le persone che conosco, sui social e fuori dai social, ne sapevano nulla.

E poi è tornata a ruggire tra i pensieri una questione, che dall’8 luglio, inizio dell’attacco israeliano su Gaza, non manca ogni giorno d’inseguirmi: ma dov’è finito il movimento per la Pace, quello che qualche anno fa si era opposto alla guerra in Iraq e in Afghanistan, che aveva individuato nella bandiera arcobaleno un simbolo, un meme molto efficace, che si era propagato di balcone in balcone e aveva portato in corteo milioni di cittadini? Dov’è finita tutta quella gente, quell’opinione pubblica? Come starà vivendo questo momento così angosciante? Ci sono state, qua e là, iniziative locali, sparse, isolate. Così come c’è stata una fiaccolata sotto la sede del Foglio – così inopportunamente partigiana, così sciaguratamente dissociata dalla reale priorità del momento.

Ma evidentemente, mi sono risposto, non c’è nessuno che si stia preoccupando di convocare, e neppure di evocare, suggerire, un nuovo movimento per la pace. Renzi, il Governo, e soprattutto il partito di Renzi, il PD, il partito della nazione, che cosa stanno facendo per quella gente che muore sotto le bombe? E che cosa stanno facendo per quella gente che impotente guarda al telegiornale altra gente morire? Possibile che il parresiasta Renzi, l’uomo che ha sentito dentro il petto premere il fuoco, l’urgenza non più derogabile della piena franchezza e della sincerità, non abbia avvertito, in tutto questo tempo, il bisogno di spendere una parola incisiva su questo grande fatto, su questa pioggia di bombe che sta sconvolgendo il mondo? Ma soprattutto – non imbarazziamo il premier – giriamo la domanda alle donne e agli uomini di quel partito, ai suoi militanti che stendono i tortellini alle feste, alle sue correnti, ai suoi papaveri, ai suoi capibastone, apparentemente oggi tutti stretti intorno al segretario parresiasta. Possibile che a nessuno sia venuto in mente d’invocare, convocare, o evocare, un nuovo movimento per la Pace? Possibile che nessuno tra i suoi strateghi ed esperti di comunicazione, come il brillante Filippo Sensi, abbia ancora gettato lo schizzo, l’abbozzo, buttato lì l’idea, di un piccolo gesto virale, di un miserabile hashtag, uno slogan, per rianimare il corpo splendido del pacifismo?

Oppure dobbiamo pensare che quella parresia, nominata almeno un paio di volte da Renzi, l’ultima a Strasburgo di fronte al Parlamento europeo, sia stata solo un modo particolarmente abile di mostrarsi sul pezzo e presidiare il campo della cultura e delle idee, visto che i giornali celebravano, in quei giorni, i trent’anni dalla morte di un filosofo, Michel Foucault, che dal mondo classico ha disseppellito proprio quella meravigliosa parola, parresia, che significa, grosso modo, dire la verità. Costringersi a dire la verità, di fronte al mondo. Fare coming out, potremmo aggiungere, estendendo l’accezione di un termine più moderno e corrente. E mi rifiuto di pensare che per Renzi e il suo partito esista una verità, davanti a dei corpicini dilaniati, a cui non segua l’urgenza pratica di chiedere, subito, lo stop dei bombardamenti su Gaza.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).