Io voto sì

Spero che nessuno si offenda e si indigni se esprimo la mia opinione di voto per il referendum, che è molto semplice: voto Sì a questo referendum perché non voglio che ne arrivi un altro in cui voterò no.

Diciamo la verità, chi è convinto di votare No può serenamente votare No, chi è convinto di votare Sì, può serenamente votare Sì. La riforma forse migliora alcuni punti, certi difetti della vecchia costituzione rimangono, ma certamente non è in gioco la democrazia, non ci sono “derive autoritarie”, “uomini soli al comando” (povero Fausto Coppi, preso sempre per Mussolini…). Le cosiddette discussioni “nel merito” ci tranquillizzano in ogni caso, quale che sia la posizione.

Detto questo, a me sembra chiaro che una vittoria del No segnerebbe il ritorno sulla scena di forze come la Lega e come il partito di Grillo. Quelli che votano No per poi far partire una stagione di riforme di sinistra rischiano di essere degli illusi. Quelli che votano No per far partire una stagione di riforme moderate, cioè di centrodestra, secondo il nostro lessico nazionale, rischiano di essere degli illusi. Non vedo ancora nella sinistra antigovernativa italiana (ed europea) un progetto reale e maturo, concreto. Il dibattito c’è, qualche idea anche, ma francamente non riesco a immaginare un governo di sinistra-sinistra (ammesso e non concesso che stiamo parlando di sinistra-sinistra…) alternativo a quello attuale e con il nostro sistema parlamentare.

Oltre alle evocazioni astratte e confuse della personalità di Sanders – che rimane una figura di riferimento proprio perché ha perso (Tsipras vincendo è declinato nell’immaginario di questa sinistra e prima di lui tutti gli altri, compreso Obama) – non vedo una linea chiara. Ci sarà, ci potrà essere, ma pensare che dopo il No si passerà da Renzi a Fassina, che riporterà la democrazia, la giustizia e lo sviluppo, è uno scenario che non esiste. Così come non sembra plausibile che emerga automaticamente una linea di destra dialogante, liberale, alla Parisi. Quella linea non è ancora nelle cose, non è matura. Si passerà piuttosto a Brunetta, a Salvini, a Grillo, a Santanché.

Certo la linea del governo attuale può non essere quello che molti si erano immaginati e lo spazio di azione è oggettivamente molto stretto. Il nostro sistema politico e istituzionale è peraltro molto complicato e farraginoso – lo sarà anche con la riforma – perché è stato concepito per interdire. Ogni 10-15 anni sembrano però aprirsi degli spazi di cambiamento, difficoltosissimi e sdrucciolevoli. Poi la porta si richiude velocemente, come si chiuse il primo governo Prodi, per una spaccatura della maggioranza, per un’elezione storta, per interessi e timori. Sono tutte motivazioni legittime per chiudere una porta, ma il nostro sistema le enfatizza e le rende quindi ostacoli permanenti.

La strettezza, ma anche la possibilità, di una linea di azione che si deve fare spazio tra percorsi obbligati e scogli nuovi è stata secondo me mostrata bene in un articolo di Marco Simoni, che è consigliere economico di questo governo. Come il mondo nuovo sia radicalmente nuovo e come ogni linea riformista, o anche semplicemente ogni linea di azione sensata, sia minacciata da forze alla Trump lo spiega Giuliano da Empoli – anch’egli consigliere del governo – in un articolo che non ha nulla di banale e la cui lettura è molto utile.

Una vittoria del No può chiudere la porta di un processo di cambiamento, difficoltoso e lento, che a me pare esistere e che è peraltro compatibile con una certa parte dei progetti politici di alcune della forze che votano No. Non è detto che la partita sarebbe chiusa per sempre, ma la vittoria del No potrebbe volere dire una vittoria di Lega e Grillo che ci farebbe ancora una volta perdere molti anni e, nel momento storico in cui ci troviamo, potrebbe essere davvero fatale.

Del resto i paesi cambiano volto in un momento – chi avrebbe immaginato una fascista in testa ai sondaggi di un paese come la Francia? chi avrebbe considerato un Trump presidente? chi avrebbe previsto una ripresa di influenza della Russia sull’Europa democratica? – così come cambiano le generazioni che, lo sappiamo, non sono tutte importanti allo stesso modo. E questa generazione, la nostra di tutti noi che siamo qui, rischia di colpo di diventare maledettamente importante.

Sia Salvini che Grillo concepiscono il No certo non come una difesa della costituzione – vorrei ricordare che l’articolo 1 dello statuto della Lega Nord dà come obiettivo la divisione dell’Italia, quanto di più anticostituzionale si possa pensare – ma come una tappa fondamentale per una presa del potere in stile Trump e Farage, Johnson e Le Pen. Tutta la campagna elettorale conseguente alla vittoria del No sarà la proposta di un referendum per uscire dall’Europa (loro diranno “uscire dall’euro”), così come è stato per il Regno Unito e come è in Francia con la Le Pen. Diciamo quindi, con una formula, che voto Sì al referendum di dicembre perché non voglio che ci sia un referendum l’anno prossimo in cui votare No, quello per la rottura dell’Europa e l’affondamento dell’Italia.

Tutto si può fare, certo, anche uscire dall’Europa. Ma non per essere più fragili, non per essere più soli, non per essere più deboli preda dei più forti. Soprattutto non si può dare credito a forze che hanno da sempre tentato, in particolare la Lega per ragioni cronologiche, di indebolire il nostro paese, di dividerlo, di farlo tornare indietro. Non si può dare credito a forze che seminano odio, balle, bufale per ragioni di semplice calcolo di convenienza. Con queste forze bisognerà sempre di più fare i conti, assumendosi delle responsabilità, per evitare che affondino il paese.

Ecco, io dico che “nel merito” chi ha deciso di votare No può serenamente votare No, chi ha deciso di votare Sì può serenamente votare Sì. A chi non ha deciso o non sa se votare o non votare, direi di pensare anche alle particolari conseguenze di questo particolare voto.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.