Uscire dall’euro con la sola imposizione delle mani

Grillo e Salvini hanno un singolare vantaggio nelle prossime elezioni europee: non hanno una linea politica sull’Europa.

A parte l’uscita dall’euro, di cui parleremo, qualcuno saprebbe dire quale sia il pensiero politico di medio-lungo, o anche breve, periodo di questi due movimenti rispetto al problema dell’integrazione europea?

Il vantaggio è che senza un discorso strategico sull’Europa, la campagna elettorale può essere fatta con slogan di grande presa, con spezzoni di argomentazione a volte contraddittori, senza badare alle conseguenze pratiche delle proposte o dei desideri che si evocano. Inoltre è molto facile attribuire alle istituzioni europee qualsiasi disegno complottistico, ostilità, progetto di colonizzazione, di conquista. Insomma è la riproposizione, amplificata dalla lontananza di Bruxelles (e anche dall’oggettiva difficoltà del momento e dallo scarso pragmatismo manifestato in questi anni dalle istituzioni europee), dello schema un po’ paranoide che sta prendendo piede su scala europea del noi/loro, con l’aggiunta che “loro” sono un po’ nascosti (e che poi, a ben vedere, sono “noi” anche loro).

La proposta di uscita dall’euro, senza ulteriori spiegazioni – perché in realtà tutto si può fare, ma bisogna capire come e per ottenere cosa e a prezzo di cosa – è un ottimo esempio di questa retorica e sembra essere il cardine della campagna elettorale incipiente di tutti i movimenti come Lega, 5Stelle, Le Pen, nazionalisti austriaci, etc. (per molti dei quali va registrato anche il paradosso per cui le elezioni europee sono occasione vitale di approvvigionamento di stipendi e di rilancio).

L’idea è che l’euro sia il criminale strumento di un disegno di distruzione delle nostre economie a opera delle banche. Senza l’euro tutto tornerebbe come ai vecchi tempi (ma quali tempi esattamente?). L’argomento è del tutto simbolico e non fa che spostare su altri i problemi di cui siamo ingiustamente afflitti. Salvini lo evoca come un tempo si sarebbero evocate le reliquie dei santi, quasi con l’imposizione delle mani, Grillo parla dei premi Nobel contro l’euro come se il nominarli senza spiegare in che termini esatti ne parlino avesse un potere taumaturgico (ma i Nobel non sono casta pure loro?).

La promessa è che se uscissimo oggi avremmo una ripresa immediata dell’economia, perché avremmo una moneta debole. Il debito pubblico italiano, che se l’Italia un giorno fallirà sarà la causa del fallimento, euro o lira che sia, non viene mai preso in considerazione.

Naturalmente non si spiega come si potrebbe evitare che a una svalutazione della lira grillo-leghista si alzi automaticamente il prezzo delle materie prime e dell’energia (che si pagano in euro o dollari). E se forse i nostri prodotti non tecnologici e non bisognosi di materie prime dall’estero sarebbero più esportabili (ma l’esportazione è l’unica cosa che ha tenuto in questi anni di euro), tutto il resto se la passerebbe peggio. Se poi pensiamo al debito pubblico, come evitare che il sistema tracolli con il passaggio alla lira grillo-leghista? Se i conti non sono a posto, quanto si pensa che si alzerebbe il tasso di rendita dei titoli di stato? Come non pensare che un titolo di stato italiano in lire non avvantaggi ancora di più la Germania e soprattutto la Francia? Quanto costerebbe un mutuo, un investimento, con una nuova moneta italiana?

Facendo i conti – ma ci devono aiutare a farli i partiti, i movimenti e i candidati – non è più probabile che nei prossimi anni il sistema italiano venga spazzato via dalla nuova lira, piuttosto che da un euro accompagnato da una politica europea nuova e più coraggiosa? E qual è questa politica nuova che può essere intrapresa? O quale la politica contraria?

Il vantaggio di non avere una linea politica sull’Europa – ma Salvini è eurodeputato, con Borghezio, con Speroni e con altri e Grillo è quello che diceva anni fa «Tedeschi, invadeteci!» – è la possibilità di non rispondere a nessuna di queste domande, ma neppure alle domande contrarie. Che cosa facciamo il giorno dopo che siamo usciti dall’euro?

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.