Beppe nuota, Tonino affonda

Un visino d’angelo incastonato nella crapa di Al Capone: l’indagine su Vincenzo Salvatore Maruccio da una parte accredita le peggiori sciocchezze sulla fisiognomica della malapolitica (si affianca ai vari Belsito e De Gregorio) e però dall’altra crea un disastro vero, perché Maruccio non è solo ex assessore ai Lavori pubblici e capogruppo Idv nel Lazio, è l’avvocato di Antonio Di Pietro nello studio di Sergio Scicchitano – a sua volta indagato per false fatturazioni nel giugno 2011 – il quale esercita dove Tonino ha il suo domicilio professionale. Parentesi per i colleghi: gli avvocati calabresi Maruccio e Scicchitano sono quelli che in questi anni vi hanno spedito le querele del molisano.

Un disastro, perché il peso specifico di questa vicenda schiaccia l’Italia dei Valori verso il fondo di quella «vecchia politica» che Di Pietro cercava disperatamente di scansare per fiondarsi in direzione Grillo: solo che Grillo attraversa gli stretti a nuoto, Di Pietro intanto si dimena sull’arenile come un pescione appena pescato. Ora pure questa mazzata, a segnare una cesura definitiva: perché Grillo alla fine non prende soldi pubblici, Di Pietro sì; Grillo non ha figli e famigli in politica, Di Pietro sì; Grillo non ha candidato inquisiti, Di Pietro sì; Grillo non è candidato, Di Pietro ha già accumulato cinque mandati ed è in politica da 17 anni, si è pure avvalso dell’immunità europarlamentare: chiedere giusto ai suoi avvocati – quando saranno liberi – per informazioni.

Adesso già si scrive di «nuovo caso Fiorito» perché l’accusa è la stessa e perché Maruccio ci ha rifatto col refrain: «Erano spese per l’attività politica». Potrebbe anche essere vero, e cambierebbe poco, perché ciò che è vero in questa fase politica non conta più: di uomini e partiti conta solo l’odore che resta. Abbiamo il molisano dei valori che da vent’anni ci frantuma le scatole coi condannati, gli indagati, i candidati, i riciclati, tutta la sbobba giustizialista della sua anima nera. Poi però abbiamo quanto segue, e va da sé che l’elenco non è completo.

Nel 2004, alle comunali di Foggia, Di Pietro appoggiava Riccardo Leone (Sdi) che vantava condanne definitive per ricettazione, rapina continuata, resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata, furto continuato e furto in concorso, evasione, danneggiamento continuato e violenza privata continuata, oltre ad aver passato due anni in un manicomio giudiziario. Un altro candidato appoggiato da Di Pietro, Domenico Padalino, vantava invece due condanne definitive per furto, oltraggio a pubblico ufficiale, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità e resistenza a pubblico ufficiale, oltre a essere indagato per porto abusivo d’armi. Di Pietro non era informato, sono cose che capitano. Nel 2008 Di Pietro si ritrova a fare due comizi ad Amantea, in Calabria, con Franco La Rupa, già allora indagato per brogli elettorali e condannato per abuso, poi riarrestato con l’accusa di aver ricevuto aiuti elettorali alle regionali del 2005 da parte della ‘ndrangheta capeggiata da Tommaso Gentile, infine in attesa di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.

A Genova è finito ai domiciliari il capogruppo del suo partito, Gustavo Garifo, già consigliere alla Provincia, con l’accusa di essersi intascato i soldi delle contravvenzioni: dovrà restituire 74mila euro. Sempre a Genova un consigliere comunale del suo partito, Andrea Proto, è stato condannato a 1 anno e 9 mesi dopo aver ammesso che aveva presentato la lista raccogliendo la firma di un morto. A Pescara un ex ex assessore dell’Idv è stato accusato di associazione a delinquere, abuso d’ufficio, tentata turbativa d’asta e tentata corruzione.

L’ex sindaco di Lungro (Cosenza) Vincenzo Iannuzzi, nel 1992, fu condannato per «falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale» e riabilitato dal tribunale di sorveglianza di Catanzaro qualche anno dopo: Di Pietro l’ha candidato al Senato. Anche D.D. (che ci risulta deceduto) nel 2008 è stato candidato al Senato: era stato rimosso da sindaco di un paese campano per «contiguità con la camorra» e con precedenti penali per assegni a vuoto, concussione, blocco stradale e il solito 416 bis. Di Pietro in Sardegna ha candidato persino un piduista, Pino Alessi, tessera 762 della loggia di Licio Gelli. Ma ci aveva già provato nel 2001, quando Filippo De Jorio (tessera P2 n. 511) risultò il primo dei non eletti sempre in Sardegna. Invece l’onorevole Americo Porfidia, indagato dalla Dda di Napoli per associazione a delinquere di stampo mafioso, è stato rinviato a giudizio solo per tentata estorsione e favoreggiamento. Non come l’onorevole Anita Di Giuseppe, indagata per abuso di ufficio, turbativa d’asta e associazione per delinquere. Di alcuni non sappiamo come sia andata a finire: Gaetano Vatiero fu incarcerato per corruzione aggravata perché secondo i magistrati favoriva alcune Spa in cambio di quote societarie. Maurizio Feraudo, consigliere regionale calabrese, fu indagato per concussione perché avrebbe preteso, per anni, la corresponsione di un tot sullo stipendio da un suo autista.

Di qui in poi omettiamo i nomi, che tanto non direbbero nulla: ma, come tutti gli altri, è tutta gente dell’Italia dei Valori. A Lungro, sempre in Calabria, un candidato alla Camera dell’Idv finiva indagato per abuso d’ufficio e reati edilizi. Nel Gargano l’assessore alla cultura dell’Idv veniva indagato per concussione. Nel casertano un esponente locale del partito veniva arrestato con l’accusa di aver truccato una gara d’appalto. A Santa Maria Capua Vetere l’assessore ai Lavori pubblici dell’Italia dei Valori finiva arrestato per concorso in corruzione e falso in atto pubblico. A Pescara un candidato dell’Italia dei Valori alle comunali finiva in manette con l’accusa di aver praticato aborti illegali. A Latina un altro esponente del partito finiva ai domiciliari per un sospetto giro di appalti. A San Benedetto del Tronto lo stesso Di Pietro si prese una bottigliata in testa dopo che una manifestazione elettorale aveva scatenato una guerriglia urbana fomentata dagli ultras della Sanbenedettese Calcio: non gli perdonavano d’aver candidato alla Camera – l’ex pm non lo sapeva – l’uomo che stava mandando in malora la squadra, che infatti fallirà ufficialmente meno di due mesi dopo. Occhio che adesso Di Pietro, a proposito di Maruccio, parlerà di caso isolato.

(Pubblicato su Libero)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera