Abolitevi

La mancata abolizione delle province dimostra che ormai ce l’abbiamo fatta, siamo nella Seconda Repubblica nel senso degenerativo del termine. Sopravvivono bastioni indistruttibili che sono trapiantati ancora nella Prima (questa Rai e questa Magistratura) ma intanto i gangli partitocratici della Seconda hanno già attecchito come si deve: e questo in solo tre lustri, cioè a partire dal 1994.

Il Pdl nelle province ha i suoi uomini (spesso burocrati post-democristiani) e il Pd hai i suoi, tanto che ci ha rifilato – spiegava il sempre efficace Francesco Costa – la comica della «demagogia» di Antonio Di Pietro dopo averne fatta per mesi su scuola e acqua e nucleare e welfare. Poi c’è la Lega: il suo celeberrimo «radicamento sul territorio» dobbiamo intenderlo in senso ampio, già. In sostanza abbiamo una classe politica compromessa col sistema che dovrebbe riformare (andatevi a vedere che cosa combina l’Idv in Molise, è roba da pazzi) e soprattutto nella consapevolezza che i partiti, se abbattessero tutti gli apparati, i parassitismi, gli assistenzialismi, i clientelismi e i consociativismi, abbatterebbero anche se stessi. Ma c’è di peggio, a dirla tutta. Se anche spuntasse un eroe disposto a fare tutto quel serve, in Italia, ogni consenso gli verrebbe progressivamente a mancare per le resistenze corporative che sono egualmente trapiantate nella società civile. Un politico che decidesse di fare quello tutto che serve per ottenere sia rigore sia sviluppo, cioè, difficilmente troverebbe il consenso per arrivare alla fase attuativa. Questa classe politica fa schifo, ma si tratta di stabilire quanto ci assomigli.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera