La rivincita del factchecking

Negli ultimi 60 giorni i fatti, i numeri e le cifre sono scomparsi dal dibattito politico e dai talk-show e sono stati sostituiti dalle ipotesi, dai retroscena, dalle discussioni sulle tattiche e sulle alleanze. Fare factchecking – ossia valutare quanto sono corrette le dichiarazioni dei politici e i commenti della stampa – è diventato molto difficile. Per settimane tutti i vari partiti hanno parlato di allearsi con qualcun altro per riuscire a fare un governo. Nessuno ha parlato delle proposte pratiche (cosa fare, dove trovare i soldi), cosette che avrebbero dovuto costituire le basi per un accordo.

La conseguenza, nel nostro piccolo, è che gli articoli in questo blog si sono fatti meno numerosi e nella stessa situazione si sono trovati anche molti nostri colleghi che si occupano di factchecking. C’è da dire che la gran parte della stampa italiana non sembra aver sofferto quanto noi. Spingere i politici ad argomentare le loro affermazioni utilizzando fatti e cifre e correggendoli quando li sbagliano è un lavoro faticoso, noioso e poco brillante. Cento volte meglio è creare immaginifici affreschi di retroscena politico (non tutti possono scrivere Game of Thrones, ma ci si può andare vicino). Oppure ipotizzare una lista di ministri o azzeccare il prossimo Presidente della Repubblica.

Per nostra fortuna, a tenere vivo un lumicino di factchecking in queste settimane ci ha pensato Beppe Grillo. L’ultima è di pochi giorni fa: durante la conferenza stampa fatta a Roma il giorno dopo l’elezione di Giorgio Napolitano Grillo ha sostenuto, tra le altre cose, che un referendum in Svizzera avrebbe fissato il limite di remunerazione per i top manager di una società a 12 volte quello dei loro dipendenti di più basso livello. Non è vero: con il referendum gli svizzeri hanno deciso di dare più poteri all’assemblea degli azionisti per decidere gli stipendi dei manager. Nessuno tetto allo stipendio, né tanto meno un rapporto di 1:12 (di cui invece si parlava qui e, per la cronaca, per ora è stata bocciata).

Nonostante gli errori, bisogna ringraziare Grillo: a differenza di quasi tutti gli altri politici si espone, continuamente e forse troppo. Ma esprime delle teorie, delle proposte, usa dei dati (spesso sbagliati) e cita fatti (molte volte incorretti) per sostenerli: è un merito in un momento in cui il resto della politica e la gran parte della stampa parla, sostanzialmente, di niente. Siamo stati spesso criticati per non aver mai fatto un factchecking su Pierluigi Bersani. Il motivo è che Bersani non si è mai esposto, come fa Grillo, ma è sempre rimasto sul vago senza fare proposte precise e quindi senza la necessità di usare fatti e cifre per giustificarle.

In parecchi, negli scorsi mesi, avevano predetto la fine del factchecking insieme a quella della campagna elettorale. La previsione si è rivelata corretta, ma – come dire – non è normale che sia così. In un momento politico in cui non c’ una maggioranza chiara e c’è la necessità di fare alleanza con forze politiche di solito distanti ci sarebbe un incredibile bisogno di proposte chiare e argomentate.

Come si può pensare di fare un governo con i propri avversari storici, senza una base di proposte chiare, con il loro contorno di dati e argomentazioni (factcheckabili)? Chi è a favore del “governo di larghe intese” ha sostenuto che un governo “va fatto in fretta” per fare “le riforme che servono al paese”. Chi è contrario, ha detto che bisogna andare in fretta alle elezioni perché solo un governo con la legittimità del voto popolare può fare “le riforme che servono al paese”.

Su cosa siano queste riforme c’è il buio più totale. È più o meno chiaro che bisognerà trovare i soldi per rifinanziare la cassa integrazione in deroga, ma nessuno ha proposto dove si potrebbero prendere le risorse necessarie. È altrettanto – più o meno – chiaro che bisognerà trovare i soldi per evitare l’aumento dell’IVA, ma – anche qui – nessuno si è sbilanciato nel dire dove questi soldi si potrebbero prendere.

A essere sinceri, qualcosina è stato fatto. Queste settimane di tentativi di accordi e alleanze hanno prodotto gli 8 punti di Bersani: degli indirizzi estremamente generici che non hanno offerto quasi nulla al dibattito. Stessa storia per le proposte dei 10 nomi di Napolitano, in particolare quelle economiche: indirizzi generici, magari anche di buon senso, ma che non rispondevano mai alle domande: come?, e in seconda battuta: perché?

Da oggi sembra che ci sarà presto un governo e questo potrebbe essere un bene – non ci arrischiamo a dire “per il paese”, ma se non altro per noi che facciamo factchecking: almeno qui siamo un po’ stufi di prendercela sempre con Grillo e Brunetta (Tremonti non è pervenuto da un paio di mesi oramai). E magari il governo farà bene anche ai nostri amati/odiati talk-show politici che seguiamo con pazienza certosina da più di cinque mesi (li seguivamo anche prima, ma senza la pazienza). E magari, sorpresa sorpresa, tornare a parlare di fatti e di numeri sarà pure un bene per l’auditel.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca